Shabtai Shavit, Israele e la guerra eterna
Tempo di lettura: 2 minuti«Oggi Israele si trova nel punto più basso di qualsiasi altro momento dalla sua fondazione. La guerra eterna non è una strategia». È una considerazione di Shabtai Shavit, ex capo del Mossad che oggi partecipa dei Commanders for Israel’s security (generali per la sicurezza di Israele), un’associazione di ex militari nata in funzione di indicare una nuova prospettiva per lo Stato ebraico.
Se l’accenno sulla «guerra eterna» di Shavit, contenuto in un video uscito in occasione di questa campagna elettorale, è alquanto sintetico, può più prosaicamente essere messo in relazione con altre considerazioni dello stesso, riportate in un articolo pubblicato lo scorso novembre su Haaretz: «Sono preoccupato perché per la prima volta vedo arroganza e presunzione, insieme con un bel po’ di pensiero messianico che preme per trasformare il conflitto [con i palestinesi ndr.] in una guerra santa. Se finora si è trattato di un conflitto regionale tra due piccole nazioni che si contendono un piccolo pezzo di terra, forze potenti all’interno del sionismo religioso stanno follemente facendo di tutto per trasformarlo nella più orrenda delle guerre, con tutto il mondo musulmano schierato contro di noi. Vedo anche, in una certa misura, scollamento e mancanza di comprensione dei processi internazionali e del loro significato per noi. Questa destra, nella sua cecità e stupidità, sta spingendo la nazione di Israele nella disonorevole posizione di “un popolo che dimora solo e tra le nazioni non si annovera” (Numeri 23, 9). Sono preoccupato perché vedo la storia ripetersi. La nazione di Israele sta galoppando ciecamente in una macchina del tempo verso l’era di Bar Kochba e la sua guerra contro l’Impero romano. Il risultato di quella guerra fu che svariati secoli di esistenza come nazione nella Terra d’Israele furono seguiti da duemila anni di esilio».