Il Papa, il valore del tempo e l'umiltà
Tempo di lettura: 2 minutiNell’omelia della messa celebrata il 17 aprile, papa Francesco ha svolto una riflessione prendendo spunto dalla persecuzione dei primi cristiani. Il Papa si è soffermato sulla liturgia proposta, quella che vede i dottori della legge – molti dei quali anche «buoni», ha specificato – mettere in carcere gli apostoli nell’intento di condannarli a morte, per poi liberarli su suggerimento di Gamaliele, il quale convince gli altri a dar tempo: se cosa di uomini, quella nuova dottrina sarebbe finita a breve.
Prendendo spunto da questo passo degli Atti degli Apostoli, il Papa ha lodato la saggezza di Gamaliele, il quale ha chiesto tempo. Il tempo «è una grande medicina, perché nel tempo c’è posto per la speranza»
, tanto che «san Pietro Favre diceva che il tempo è il messaggero di Dio».
Francesco ha poi messo in guardia dai risentimenti che si covano nel cuore e ha invitato a fermarsi. Fermarsi: «serve anche a noi quando abbiamo cattivi pensieri contro gli altri, cattivi sentimenti; quando abbiamo antipatia, odio: non lasciarli crescere, fermarsi, dare tempo al tempo».
Così da dare «spazio allo Spirito Santo, perché ci guarisca lentamente e ci faccia arrivare al giusto, alla pace, al giusto».
A questo proposito ha ricordato «il saggio consiglio di santa Teresa di Gesù Bambino: fuggire dalla tentazione, cioè dare tempo, mettere distanza, non lasciare che cresca dentro e si giustifichi e cresca, cresca».
Francesco ha poi ricordato come gli apostoli, rilasciati, furono però ugualmente flagellati a causa dell’odio dei loro persecutori. Questi, però, non hanno minacciato l’inferno ai loro carnefici, ha ricordato il Papa, ma se ne sono andati lieti dell’«umiliazione» subita, perché «l’umiltà, anche l’umiliazione, ti porta a somigliare a Gesù».
«Per fuggire dall’orgoglio dei primi c’è soltanto la strada di aprire il cuore all’umiltà – ha ricordato il Papa – e all’umiltà non si arriva mai senza l’umiliazione: questa è una cosa che non si capisce naturalmente»
, ma «una grazia che dobbiamo chiedere: Signore, che quando venga l’umiliazione io senta che sono dietro di te, sulla tua strada, che ti sei umiliato».
Bella anche la considerazione: «non perché l’umiliazione sia bella, no: quello sarebbe masochismo», ma «perché con quell’umiliazione tu imiti Gesù»