Conferme sulla strana morte di Bin Laden
Tempo di lettura: 2 minutiIn un articolo per il New York Times del 12 maggio, Carlotta Gall conferma la ricostruzione di Seymour Hersh, secondo la quale Osama Bin Laden quando è stato ucciso dagli incursori Usa era prigioniero dei servizi segreti pachistani dal 2006 (ne abbiamo riportato in una nota).
La Gall, dodici anni passati come cronista tra Afghanstan e Pakistan, scrive che in effetti all’indomani del blitz dei Navy Seals che uccise il capo di Al Qaeda vi fu una sorta di guerra di informazioni tra Pakistan e Stati Uniti (ad esempio: nel comunicato Usa si disse che c’era stato uno scontro a fuoco; i pachistani smentirono).
E ricorda come nei giorni successivi al blitz le fosse pervenuta una informazione, fonte autorevole, secondo la quale la localizzazione del rifugio di Bin Laden non era avvenuta per la delazione (sotto tortura) di un membro di al Qaeda, come dissero gli americani, ma grazie a un’informazione pervenuta alla Cia da un ufficiale dell’Isi. Esattamente quel che ha scritto Hersh.
Notizia allora impossibile da verificare, scrive la Gall, che pertanto non la riportò.
Continua la Gall: «Due anni più tardi, quando stavo effettuando ricerche per il mio libro, ho saputo da un membro di alto livello dei servizi segreti pachistani che l’Isi aveva nascosto Bin Laden e realizzato un ufficio specifico per gestirlo come risorsa dell’intelligence.
Dopo che il libro uscì, appresi di più: che un generale di brigata dell’esercito pakistano […] aveva veramente rivelato alla Cia il luogo in cui si nascondeva Bin Laden e che l’Isi sapeva dove viveva Bin Laden e lo teneva sotto la sua protezione».
Nel suo articolo la Gall accenna che anche Larry Johnson, «nel suo blog», aveva ventilato l’ipotesi che la localizzazione di Bin Laden fosse dovuta alla delazione di un ufficiale pachistano. Una rivelazione che era affiorata anche in una trasmissione della NBC News. E del tradimento di un generale pachistano in merito alla vicenda aveva scritto anche un giornale pachistano, The News International.
Nota a margine. La conferma delle rivelazioni di Hersh da parte di una giornalista Usa (e riportata sul NYT, non certo un giornale complottista), ne rilancia i conseguenti interrogativi. Non tanto quelli relativi al modo con il quale è stato possibile scovare Osama Bin Laden, dal momento che il tradimento o meno dell’ufficiale dell’Isi è cosa secondaria, quanto sul perché il capo di Al Qaeda fosse detenuto in un carcere dell’Isi senza che nessuno sapesse della sorte dell’uomo più ricercato al mondo. E sul perché durante la sua prigionia continuasse a inviare i suoi messaggi di morte.
Sono interrogativi che hanno molta rilevanza, non solo per sapere quanto accaduto in un oscuro quanto prossimo passato, ma perché la loro eventuale risposta farebbe luce sull’attualità del terrore.
Anche per questo è così difficile districare certa nebulosità. Il fatto che i giornali, non solo italiani, abbiano dato così poco spazio a questa vicenda, qualche trafiletto in taglio basso, è indice del degrado in cui versa l’informazione.