L'Onu e i crimini commessi nella guerra di Gaza
Tempo di lettura: 2 minutiEsce il rapporto Onu sulla guerra di Gaza e, come i precedenti, solleva polemiche. A Israele si addebita l’«uso sproporzionato della forza area sui civili»
, e spiega che «L’estensione delle devastazioni e delle sofferenze umane a Gaza è stato senza precedenti ed influenzerà le prossime generazioni».
Le vittime dei raid su Gaza accertate dall’Onu sono 1462, un terzo dei quali bambini. «Il fatto che Israele non abbia cambiato il metodo dei raid, anche dopo l’evidente risultato in vittime civili, solleva il dubbio se sia parte di una politica più vasta approvata ai livelli più alti del governo».
I brani del rapporto riportati sono ripresi da un articolo della Stampa del 23 giugno, scritto da Maurizio Molinari.
Il documento delle Nazioni Unite ne ha anche per Hamas, condannando come altrettanti crimini di guerra il lancio di missili effettuato contro la popolazione civile israeliana, che ha causato la morte di 6 persone e il ferimento di altre 1600 (si parla di civili, in quanto nell’operazione sono morti anche 67 militari di Tsahal).
Le autorità israeliane hanno ovviamente reagito con durezza a un rapporto che condanna le scelte militari adottate allora, nel timore che tali accuse possano essere girate al Tribunale penale internazionale, cosa peraltro suggerita dagli estensori del documento.
Titolo dell’articolo: L’Onu contro Israele e Hamas “A Gaza crimini di guerra”.
Nota a margine. Il documento Onu difficilmente cambierà il clima di diffidenza reciproca tra i due contendenti, anche se un eventuale ricorso al Tribunale penale internazionale da parte palestinese potrebbe avere ripercussioni non secondarie (per questo è così temuto a Tel Aviv).
La speranza che tali orrori non si rinnovino è affidata alla buona volontà di quanti, da una parte e dall’altra della barricata, coltivano ancora la buona speranza della pace dei coraggiosi.
Ad oggi tutto è bloccato, tutto è sospeso alla trattativa sul nucleare iraniano, che se andrà a compimento causerà un cambiamento profondo di priorità e prospettive in Medio Oriente. Con ricadute, più o meno positive, anche sul contenzioso israelo-palestinese.