La Svezia e il fallimento delle politiche economiche mondiali
Mentre in Europa si sta decidendo il destino della Grecia e della stessa Unione, prosegue la guerra valutaria tra le banche centrali mondiali per affrontare una crisi che evidentemente non è solo ellenica, come dimostra anche il tracollo delle Borsa cinese, che in tre settimane ha perso il 32% del suo valore, con una perdita di capitali pari a 2.500 miliardi di dollari.
In questa sede ci soffermiamo su una vicenda secondaria nel panorama economico internazionale, che però appare molto significativa. Il 5 luglio scorso la banca centrale svedese ha nuovamente tagliato i tassi di interesse, che erano già negativi, portandoli dal -0,25% al -0,35%, ampliando anche il Quantitative Easing a 45 mld di corone svedesi fino a fine anno.
La mossa, dovuta al tentativo di svalutare la moneta per far ripartire l’inflazione e sostenere l’economia, era inaspettata, dal momento che l’ultimo taglio era stato fatto solo 3 mesi fa. A costringere l’autorità bancaria svedese verso questo passo è stato il fatto che analoghe misure, adottate in precedenza, non hanno portato i risultati sperati: la Corona ha continuato ad essere forte e l’economia è rimasta in deflazione.
A questo punto non possiamo non riflettere sul fatto che una politica fallimentare venga reiterata senza alcun discernimento, anzi aumentandone l’intensità dell’azione. La scelta della banca centrale svedese è stata certo difficile e in qualche modo era obbligata, dal momento che tutte le banche centrali del mondo stanno attuando le stesse identiche politiche. Ma se tutti svalutano le loro monete, si crea un circolo vizioso che rende inefficaci le politiche stesse, senza risolvere il problema di fondo.
È il modello economico attuale, incapace di trovare vie di contrasto nuove a una crisi sempre più pervasiva. Un modello che sta mostrando tutti i suoi limiti e i suoi paradossi.