Un fiore per Fabrizio
Tempo di lettura: 3 minutiEra da tempo che non lo sentivo. Tanto tempo. Ma al telefono sembrava che il nastro della vita si fosse arrotolato all’indietro. “Sono stato distratto in questi anni”, aveva sintetizzato. E in quel distratto c’era tutto il suo correre bambino appresso alla vita, più spesso lontano che vicino a quel richiamo meraviglioso che l’aveva avvinto in passato. Era cristiano, Fabrizio, ed era anche distratto (ha qualche importanza?).
«Comunque quel che c’è capitato dura nei secoli», aveva esclamato ad un tratto accennando a una storia comune, una semplice storia cristiana. Era vicino alla morte Fabrizio, eppure parlava di vita che vince la morte. Com’era evidente in quel suo dire lontano, com’è stato evidente nei giorni a seguire, quando la malattia l’ha stretto sempre più forte e più stretti si sono fatti, imprevisti, gli amici.
Fabrizio è morto da poco. Ma prima di andare – aveva già preso l’Unzione – aveva confidato alla moglie con semplicità disarmante: «Non so neanche come si fa a morire». «Pregando», gli aveva risposto con risposta ispirata (c’è n’è forse migliore?).
Così poco prima di andare, prima di regalare il suo ultimo respiro al mondo e ai suoi amici, si è segnato. Non riusciva a muoversi da tempo, Fabrizio, ma quel segno di croce l’ha fatto, scandito di netto con la mano imbrigliata di tubi d’ospedale. Sconfiggendo per l’ultima volta la morte cattiva.
Resta il dolore, certo, ma anche le tante “impossibili” meraviglie fiorite attorno a un amico morente. Delle quali ha scritto, meglio di me, il mio amico Fabio Pierangeli…
Fabrizio Sanna, amico di classe del Liceo Augusto. Salito al cielo, a soli 53 anni, dopo una lotta dura e allegra con la malattia.
Una folla di amici al funerale. Momenti di Grazia toccante, nella predica di Don Donato (commosso più di tutti) e nello sguardo tenero della moglie Danika.
Nel frattempo è venuto a mancare un compagno di classe, eravamo un terzetto guidato da un prof di religione, don Donato, non per nulla sciatore e guida alpina, valdostano.
Così ho incontrato quella lunga onda che, in qualche modo spumeggia attuale, con mio figlio che frequenta il primo liceo e che ha oggi la mia stessa età di quando ho conosciuto Donato e gli altri compagni.
Da tempo Fabrizio lottava con la malattia.
Sono andato a trovarlo poco e non ho saputo che si era aggravato se non l’ultimo giorno, l’ultimo minuto, domenica 20 settembre. Sono arrivato al Policlinico alle 20 solo per sentir dire dalla moglie e dagli amici (tanti e inaspettati, dal presente e dal passato, credenti e non credenti, che hanno avuto il dono di stargli vicino sempre, con amore) che era salito in cielo.
Solo i piccoli (di loro è il regno dei cieli) possono invocarlo così, ha detto don Donato alla predica del funerale, oggi a Roma, chiesa della Navicella. Non riusciva quasi a parlare dalla commozione, aveva perso uno degli allievi più cari, il più fanfarone e tenero, romantico e paradossale, e sempre presente, quando ti serviva aiuto.
Con una allegria trascinante, contagiosa e il gusto innato della narrazione.
Da ragazzo, per attrattiva è andato dietro, come in montagna e ancora ora, nella malattia, per l’identica attrattiva ha testimoniato, nel dolore, la forza, la luce, perché essere piccoli per il Vangelo non è questione di età ma di cuore, di una presenza che ti viene incontro, ha detto ancora Donato (e ho visto i compagni di classe commuoversi, magari non credendo a Dio, alla Resurrezione, ma convinti, in quel momento, avvinti, della verità di quella persona che parlava, del corpo, della testimonianza di Fabrizio).
È bastato lo sguardo e le parole di Donato, l’abbraccio di Danika per sapere, come per Matteo, di essere stato perdonato di tanta lontananza e indifferenza cinica durante la malattia di Fabrizio. La Misericordia è un miracolo inaspettato che spacca il cuore, anche il più duro. Fosse solo per un attimo.
Grazie Fabrizio di esserci, di essere come sei. Per aver guardato in faccia la morte (e il sorriso della Resurrezione).