Bruxelles, Israele e l'etichetta
Tempo di lettura: 2 minuti«Rabbia negli insediamenti ebraici e soddisfazione fra i palestinesi: le due anime della Cisgiordania reagiscono in maniera opposta alla decisione dell’Unione europea di differenziare le etichette dei prodotti provenienti dai territori conquistati da Israele nella guerra del 1967 […]. In forza dei nuovi regolamenti di Bruxelles [tali prodotti ndr.] non avranno più etichette “Made in Israel” ma indicheranno come provenienza “West Bank” o “Golan” con in più la dicitura “insediamenti ebraici” per distinguersi dai prodotti locali arabi che saranno “Made in Palestine”
». Così Maurizio Molinari sulla Stampa del 12 novembre.
Nota a margine. Danno commerciale minimo per Israele, ma grande a livello politico. La domanda da porsi riguardo l’iniziativa dell’Unione europea è se avrà qualche effetto benefico sul processo di pace tra i due popoli, da tempo bloccato.
È esattamente questo il segnale inviato, di rimando, da Netanyahu, il quale ha convocato l’ambasciatore della Ue per riferire che dopo questa presa di posizione il Vecchio Continente non avrà alcun ruolo nell’eventuale ripresa dei negoziati. Reazione emotiva quella del premier israeliano, che se fa immediata presa sull’opinione pubblica del suo Paese, rischia di aumentare quell’isolamento internazionale che i suoi avversari interni imputano alla sua politica.
L’articolo della Stampa contiene un’imprecisione: secondo il documento pubblicato da Bruxelles, le etichette riporteranno la dicitura “colonie israeliane” e non “insediamenti ebraici” (che avrebbe alimentato le accuse di antisemitismo contro l’Europa, che pure non sono mancate in questi giorni).
Al di là delle controversie, una considerazione sulle etichette designate da Bruxelles. Quel “Made in Palestine” deciso a livello tanto alto, rivela che l’Europa de facto riconosce la sovranità dello Stato palestinese.