Libia e Siria: dal Terrore a una timida speranza
Tempo di lettura: 3 minutiDopo la Libia, la Siria. Domenica è stato annunciato l’accordo sulla Libia, ieri all’Onu si è trovato l’accordo sulla guerra che da anni tormenta la popolazione siriana. Certo, il conflitto non finisce con una risoluzione delle Nazioni Unite, tutto è ancora da realizzare, ma la strada e il calendario per arrivare a una stabilizzazione del Paese, già delineata nei due vertici di Vienna, è stata formalizzata con il consenso dei vari attori protagonisti di questa intricata guerra per procura.
Diciotto mesi per arrivare alle elezioni, prima delle quali la comunità internazionale è chiamata a decidere quale formazione jihadista potrà partecipare ai negoziati politici e quale sarà esclusa (di certo fuori restano l’Isis e al Nusra). E dovranno iniziare i colloqui tra questi e il presidente Bashar al-Assad, sul cui destino personale, punto nevralgico della questione, si è lasciato correre, di fatto consentendo che resti pro tempore al potere (un pro tempore che potrebbe essere prolungato fino alle elezioni).
Accordi fragili, quelli sulla Libia e sulla Siria, sia sul piano interno che internazionale. Il nuovo governo libico si dovrà confrontare con un Paese frantumato e in preda a mille fibrillazioni, oltre che con la minaccia dell’Isis. Calato dall’alto, è chiamato a una mediazione con una società civile magmatica che ha esigenze e interessi diversi da quelli della comunità internazionale.
Anche il processo di pace siriano dovrà svilupparsi tra mille insidie interne, dal momento che gli attori protagonisti di questa piccola guerra mondiale durante questo periodo di transizione cercheranno di lucrare il più possibile, usando delle varie formazioni jihadiste finanziate allo scopo, con il rischio di far saltare il banco.
Non solo: resta ferma la contrapposizione tra l’asse Russia-Iran e quello Nato-coalizione sunnita a guida saudita, che lascia a quest’ultima la possibilità di inserire nel quadro dei rapporti internazionali variabili rischiose. Mentre resta incandescente il rapporto tra Turchia e Russia dopo l’incidente, non ancora sanato, dell’abbattimento del bombardiere russo da parte di Ankara, ma soprattutto dopo la frustrazione dei piani di Erdogan sul vicino siriano.
E però le forze del caos in questa settimana hanno subito uno scacco, anche se non si rassegneranno facilmente alla resa. La speranza di una riuscita di questo processo di stabilizzazione globale sta tutta nella prosecuzione di un dialogo virtuoso tra la Russia e gli Stati Uniti, che pur tra tante battute d’arresto e ambiguità (Obama deve fare i conti anche con le spinte dei neocon) ha prodotto un compromesso politico alto e dal grande valore simbolico.
Libia e Siria: le rivoluzioni della primavera araba, che avevano portato un vento di speranza in quel variegato mondo, causando il crollo del regime di Ben Alì in Tunisia e di Mubarak in Egitto, erano presto deragliate. La guerra libica, la guerra siriana e l’arrivo al potere della Fratellanza Musulmana al Cairo avevano prodotto una nuova stagione: quella del Terrore. Una reiterazione in salsa araba delle fasi della rivoluzione francese.
Da allora il Terrore è tracimato ovunque, nel mondo arabo e altrove, usando manovalanza vecchia e nuova, ovvero i nuovi movimenti jihadisti e le antiche reti di al Qaeda, fino ad arrivare al parossismo con l’apparire del Califfato.
Chiusa la stagione della Fratellanza musulmana in Egitto con la controrivoluzione guidata dai militari, per porre fine a questa stagione di Terrore era necessario chiudere anche la piaga libica e siriana. Da qui la necessità di un processo di stabilizzazione parallelo, che in questa settimana ha conosciuto un momento di successo.
L’avvenire resta enigmatico e denso di incognite. Ma questa oasi di pace ha un suo significato alto: le forze del caos non sono invincibili come vogliono far apparire, secondo una narrativa che è parte della loro forza. Da qui una nuova speranza.