16 Gennaio 2016

Claude Monet: La gazza

Claude Monet: La gazza
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In queste settimane (sino al 14 febbraio) è aperta a Torino un mostra dedicata a Claude Monet: sono 40 opere che vengono dal Musée d’Orsay di Parigi, il museo che ha la più vasta raccolta di opere dell’artista che diede origine all’Impressionismo. Tra le opere prestate c’è questa stupenda tela, dipinta nel 1869 e intitolata La gazza. In realtà protagonista indiscussa di questa tela è senz’altro la neve: quella neve a cui gli artisti del passato raramente avevano dato spazio, relegandola tutt’al più a un’infarinatura delle cime sullo sfondo.

 

Era stato Gustave Courbet, grande e potente campione del realismo francese, a metà ‘800, a fare della natura innevata il soggetto di numerose opere. Ma per quanto fosse coraggiosamente innamorato di quella sua novità, a Courbet non riuscì mai di esprimere l’incanto della neve. È una neve quasi zavorrata dal buio del bosco: la terra, le foglie, gli alberi finivano con lo schiacciare la neve, quasi spegnendone la luce. Con Monet invece avviene una sorta di improvvisa liberazione.

 

Se guardiamo questo quadro ci accorgiamo che sostanzialmente è un monocromo bianco, interrotto solo da poche tracce marroni, degli esili tronchi di rami e della staccionata. Monet infatti intuisce che sono i bianchi ad accendere il bianco, con un effetto ottico abbagliante: basta controllare il contrasto che si crea tra la zona dell’ombra creata dalla staccionata e il campo in primo piano. L’ombra in realtà è bianca, ma sembra quasi essere stata intrisa di un blu che la rabbuia. In questo modo Monet ottiene il risultato di un bianco quasi abbacinante nella fetta di paesaggio più vicina a noi.

 

È qui infatti che avviene una sorta di trasfigurazione, perché a sorpresa scopriamo il sole. Un sole che non c’è e non ci può essere, perché il cielo è intriso di bianco né più né meno della terra innevata. È un giorno gonfio di neve, sulla terra e nell’aria. Eppure Monet ci sorprende accendendo un sole imprevisto, e mettendo sull’asse dei suoi raggi anche la macchia scura della gazza che dà il titolo al quadro. È appoggiata su un rudimentale cancelletto, che richiama un pentagramma. Il sole, la gazza, il canto evocato: la bellezza di questo quadro è tutta in ciò  che non avrebbe dovuto esserci.