Il nuovo Muro che condanna l'Europa al declino
Tempo di lettura: 3 minutiIn Romania diventa attivo un sofisticato sistema difensivo della Nato. Presto un analogo apparato difensivo verrà attivato in Polonia. Si tratta di sistemi che dovrebbero intercettare i missili a breve e medio raggio lanciati contro l’Est Europa o altri Paesi europei. E consentire conseguenti azioni offensive.
La Russia ha reagito con irritazione. Anche perché la motivazione ufficiale del dispiegamento di tale apparato è alquanto risibile: servirebbe come protezione del Vecchio Continente da minacce provenienti dall’Iran o dal Medio Oriente. In realtà, è alquanto evidente ai russi, e non solo a loro, che è rivolto contro ben altro obiettivo strategico: Mosca. I cui dirigenti, infatti, non credono affatto alle rassicurazioni in tal senso provenienti dalla Nato.
Putin ha dichiarato che la Russia adeguerà il proprio sistema di difesa alla nuova minaccia, ché tale è percepita da quelle parti. Ma ha anche assicurato che non innescherà una nuova corsa agli armamenti.
In effetti, dopo la crisi ucraina, sembra che la Nato voglia alimentare un contrasto a tutto campo con Mosca e dar vita a una nuova corsa agli armamenti. Come quella che contribuì non poco alla fine dell’Unione sovietica, dissanguandone le risorse.
Dopo il crollo del prezzo del petrolio, risorsa essenziale dell’economia russa, e con il regime di sanzioni imposto dall’Occidente, una nuova corsa alle armi sarebbe fatale per Mosca. Che sta già depauperando risorse per contrastare il fronte del terrore in Siria, nonostante il recente disimpegno comporti spese oggi minori.
Ma il confronto con l’Occidente, che cresce nonostante le rassicurazioni contrarie, potrebbe portare Putin a dover far fronte a un altro nemico, ben più prossimo.
La sfida lanciata a Mosca dall’Occidente può infatti creare reazioni incontrollabili anche in Russia, rafforzando i fautori di un confronto più serrato con il “nemico” (nostalgici del vecchio regime e influenti ambiti dell’apparato militare industriale collegati a potenti oligarchi).
La duttilità dell’attuale zar, che in ogni intervento pubblico e privato lascia sempre aperta la porta a un compromesso con i suoi avversari – l’unica via che può portare la Russia fuori dal tunnel nel quale la vorrebbero precipitare i suoi nemici esterni -, può essere strumentalizzata dall’ala dura per incalzarne l’autorità e il governo del Paese. E in una nazione dove gli scontri di potere sono spesso sfociati in conflitto aperto, ciò avrebbe conseguenze disastrose.
Lo sa bene Putin, che all’inizio di aprile ha creato la Guardia Nazionale, un corpo scelto alle sue dirette dipendenze. I cosiddetti pretoriani (come sono stati definiti con termine precipuo), che come nell’antica Roma hanno compiti di difesa contro i nemici interni. Una mossa preventiva per evitare rischi più che possibili.
Partita difficile quella che si sta giocando in questi giorni. Che ha pesanti conseguenze anche per l’Europa, l’altra vittima di questa linea di contrasto a tutto campo con la Russia.
Il nuovo Muro che si sta alzando nell’Europa dell’Est sta allontanando sempre più la Russia dal Vecchio Continente, costringendo quest’ultimo a spostare il suo baricentro politico-economico sempre più a Ovest, verso l’Atlantico, come ai tempi della Guerra Fredda.
Con l’area mediterranea preda di un’instabilità senza precedenti a causa dell’attivismo jihadista, l’Est chiuso dal Muro Nato, l’Europa dà l’idea di un fortino assediato la cui unica opportunità di interlocuzione stabile restano gli Stati Uniti d’America.
Il trattato Ttip, che realizzerà un’area di libero scambio transatlantico, che poi tanto libero non sarà data la preminenza accordata agli Usa, andrà a ratificare questo status.
Così l’Unione europea, nata come zona di mediazione tra Nord e Sud e tra Est e Ovest, perde un’altra caratteristica propria della sua fondazione. Non più luogo di scambio e di dialogo con proiezione globale, ma periferia (seppur di prestigio) dell’Impero occidentale.
E, come tutte le periferie, il suo destino è un inesorabile declino. Un destino che forse dovrebbe essere messo a tema nel dibattito culturale-politico continentale. Ma come accade nelle dinamiche proprie del decadimento di entità politico-istituzionali più o meno grandi, il declino inizia con il venir meno di una classe dirigente all’altezza.
Infatti, ingolfata dai problemi del presente, più o meno secondari, la classe dirigente europea appare incapace di prospettive di largo respiro e a lungo termine. Resta una resistenza residuale, ma frenare quello che appare un inesorabile destino appare, con il passar del tempo, sempre più difficile.
D’altronde il tempo non è una variabile secondaria della storia. Se non fermate tempestivamente, certe dinamiche diventano inarrestabili.
Deveselu