L'unanimismo clintoniano
Tempo di lettura: 2 minuti«Da Wall
Street ai sostenitori di Sanders, fino ai superstiti del movimento Occupy, dalle grandi multinazionali ai sindacati dei lavoratori, dagli ex combattenti dell’esercito agli Lgtb (lesbiche, gay, bisessuali e transgender), dagli ambientalisti alle femministe, fino agli esponenti più “sensati” dello schieramento repubblicano
»: tutti uniti contro Trump.
Un coagulo eterogeneo quanto bizzarro quello del fronte clintoniano, messo in luce da Slavoj Ζizek sulla Repubblica del 13 agosto, in un articolo che ne mette in luce le tragiche contraddizioni.
Contraddizioni che spingono i movimenti riformisti, dopo l’ammaina bandiera del riformismo coagulato da Sanders, ad affiancarsi in posizione ancillare ai più potenti compagni di cammino.
Tra questi compagni spiccano appunto le grandi multinazionali, i cui leader sono pronti a concedere ai loro compagni di viaggio diritti sociali, che però non ledano lo status quo che li vede egemonici.
«Il messaggio lanciato alla sinistra – scrive infatti Zizec – è questo: potete lottare per qualsiasi cosa, ma noi vogliamo tenerci l’essenziale, ovvero il funzionamento senza ostacoli del capitale globale
».
Significative, peraltro, le parole di Todd McGowan riportate nell’articolo: «Il consenso delle persone di buon senso che si oppongono a Trump mi fa paura. È come se i suoi eccessi abbiano sdoganato il vero consenso capitalistico globale, e per di più tutti costoro si congratulano per la loro apertura mentale
».
Per questo Zizec difende Julian Assange dai suoi critici, che lo accusano di connivenza col nemico per aver attaccato la Clinton. Per Zizec, in questo momento Assange sta assolvendo un compito più che cruciale per il futuro democratico, dal momento che: «l’oggetto da combattere e sconfiggere in questo momento è precisamente questo consenso democratico contro il Cattivo
».
Nota a margine. Articolo di alcuni giorni fa ma più che attuale. L’autore sembra immaginare un futuro nel quale, rotto tale unanimismo, riemerga a sinistra una forza riformista capace di incalzare la nuova presidenza (Clinton ovviamente).
Prospettiva forse utopica, ché la vittoria della Clinton sarà lo scacco globale di tale prospettiva (come ha dimostrato la ritirata ingloriosa di Sanders). E però ha però la dignità proprio di una buona speranza.
Val la pena aggiungere che l’unanimismo clintoniano va ben oltre i confini degli Stati Uniti: mai si era vista in Occidente (e altrove) una partecipazione tanto attiva a una campagna elettorale americana da parte dell’establishement e dei media. Una partecipazione ovviamente tutta orientata verso la Clinton, con conseguente, o previa, demonizzazione dell’avversario.
E questo al di là anche della constatazione, pur pubblicamente e unanimamente resa da tali improvvisati elettori (indebiti), che l’era Clinton sarà più che bellica, cosa che non risparmierà vite e destini d’Occidente.
C’è della follia in tutto ciò. Una follia che fa il paio con la follia di questa contesa per il trono imperiale, precipitata in un duello tra un fenomeno da baraccone (in realtà criminalizzato più del dovuto) e una dea della guerra (anch’essa con chiari problemi neurologici).