Putin, Erdogan e il petrolio
Tempo di lettura: 2 minuti«Mosca e Ankara siglano un’alleanza tattica sul futuro di Damasco, foriera di scenari inediti. Con un patto non scritto che esce dal nuovo incontro fra i due leader, ieri [il 10 ottobre ndr.] a Istanbul in occasione della firma del gasdotto Turkish Stream. Le posizioni sul futuro del presidente siriano Bashar al Assad restano distinte: la Turchia lo avversa, mentre la Russia lo appoggia. E i due tornano a parlare di una possibile tregua ad Aleppo. Ma, soprattutto, le incursioni delle truppe di terra turche nelle zone dei curdi siriani non vengono osteggiate dai russi».
Nota a margine. Una svolta dalla quale ci guadagna maggiormente la Turchia, che comunque sembra poter ottenere quel che ha sempre preteso dalla guerra siriana: garanzie su un veto alla nascita di uno Stato curdo alle sue porte, che Ankara non vuole, e il controllo di una fetta di territorio siriano, la zona a Est dell’Eufrate. Altro guadagno gli giungerà, ovviamente, dalla commercializzazione del greggio russo, che trova così una strada per l’Europa.
La Russia potrà commercializzare meglio la sua risorsa principale, a scapito dell’Europa che ha affossato il South Stream, un’analoga via del petrolio sulla quale Bruxelles avrebbe potuto vantare privilegi diretti. Questo lo scotto da pagare all’obbedienza cieca al niet Usa su tale oleodotto.
Non solo: Mosca può proseguire quel dialogo con Ankara sulla Siria che oggi, dopo la rottura con gli americani, le è più necessario che mai. Probabile che si sia parlato anche del destino di Aleppo, da tempo la preda più ambita da Ankara, che dopo l’accordo potrebbe lasciare la presa (parte dei miliziani assediati fanno riferimento alla Turchia).
L’accordo potrebbe avere come conseguenza indiretta una maggiore stabilizzazione della zona caucasica, da sempre preda di turbolenze anche a causa delle controversie sul petrolio russo che ha nella zona una via privilegiata di transito. Se prima era solo Mosca a essere interessata alla stabilità della regione, da oggi lo è anche la Turchia. C’è differenza.
Perdono gli americani, sempre più distanti dai loro antichi alleati anatolici, i quali ormai vivono di vita propria.
Ma perdono anche i curdi, ai quali non sembra aver giovato l’ambigua condotta nella guerra siriana: il loro obiettivo di dar vita a uno Stato li ha portati a fare e disfare alleanze con tutti gli attori del conflitto (Isis compreso, anche se in maniera tacita e indiretta). Cosa che li rende inaffidabili o pedine momentanee e sacrificabili di un gioco più grande. Non aiuta un movimento che pure ha delle istanze alte.