2 Novembre 2016

Aoun e l'impossibile compromesso libanese

Aoun e l'impossibile compromesso libanese
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Il Libano ha un presidente, dopo una sede vacante durata oltre due anni che ha rischiato di precipitare il Paese nel caos. Il 31 ottobre scorso il Parlamento ha finalmente superato lo stallo eleggendo Michel Aoun.

 

Si tratta di un impossibile compromesso che vede la convergenza sul nome del generale Aoun dei sunniti che fanno capo a Saad Hariri e degli sciiti di hezbollah, da tempo divisi su tutto, con il sostegno interessato dei falangisti di Samir Geagea, impegnato in un gioco tutto suo.

 

Aoun è cristiano, secondo quella meravigliosa legge di convivenza istituzionale per la quale nel Paese dei cedri la presidenza della Repubblica spetta a un fedele di Gesù, la presidenza del Consiglio a un islamico sunnita e la guida del Parlamento a un islamico sciita.

 

Non un cristiano qualsiasi: da tempo egli è leader del Movimento patriottico libero, il partito cristiano più importante del mondo arabo. E la sua storia è particolare ed ha attraversato tutte le vicissitudini del travagliato Paese.

 

Eroe della resistenza contro l’invasore siriano, da tempo è alleato con gli sciiti di hezbollah, filo-siriani. Da quando fu proprio il Partito di Dio a evitargli la disfatta nelle alterne vicende della guerra civile libanese, facendo pervenire ai suoi soldati asserragliati nei quartieri cristiani di Beirut sotto embargo, i necessari rifornimenti.

 

Era il 1989, da allora quella strana alleanza ha attraversato indenne l’endemica conflittualità libanese, rinsaldandosi durante la guerra tra Israele ed hezbollah del 2006, quando, nonostante la neutralità dichiarata dalle autorità libanesi, Aoun non lesinò aiuti ai suoi alleati, ad esempio mobilitando i suoi sostenitori per soccorrere gli sciiti in fuga dalle zone di conflitto.

 

L’elezione di Aoun giunge come un segnale in controtendenza rispetto ai piani di destabilizzazione globale del Medio Oriente propugnati dai circoli neocon.

 

Anzitutto vede premiato un alleato di Assad, obiettivo primario di tali progetti. Non è un caso che il presidente siriano sia stato tra i primi, insieme agli iraniani, a felicitarsi della sua elezione.

 

Non solo. Questa elezione rafforza hezbollah, il quale sta partecipando attivamente alla guerra siriana a fianco dell’esercito di Damasco, dal momento che i suoi leader sono più che consapevoli che se cade Damasco il prossimo obiettivo dei mestatori di caos sarà proprio il Partito di Dio e le sue roccaforti nel Libano del Sud. Cosa peraltro che devasterebbe il Paese dei cedri, accendendo al parossismo quel conflitto settario tra sciiti e sunniti ad oggi represso a fatica.

 

Un’eventualità di cui è ben conscio anche Aoun, il quale nel suo primo discorso ha indicato come priorità del Paese proprio la sconfitta del terrorismo. Quello che imperversa in Siria (i famosi ribelli cari all’Occidente) e che rischia di dilagare in Libano.

 

Insomma, una elezione dai tanti significati, quella di Aoun. Che dovrebbe esser seguita dalla designazione a presidente del Consiglio di Saad Hariri, leader del Movimento futuro (a base sunnita e legato all’Arabia Saudita), che ha prestato i suoi voti a questa operazione.

 

Saad è figlio di Rafiq, il cui assassinio è ancora avvolto nel mistero nonostante i tentativi di addossare il crimine prima al presidente Assad e poi ai suoi alleati di hezbollah quando il primo tentativo andò a vuoto (si scoprì che alcuni testimoni che avevano indicato la pista siriana erano stati imbeccati).

 

Un impossibile compromesso fiorito anche grazie all’opera di mediazione della Chiesa, che ha nel patriarca dei maroniti Bechara Rai un felice tessitore.

 

Ma quanto avvenuto a Beirut ha una portata più vasta che non i ristretti confini libanesi: indica una strada di riconciliazione a tutto il Medio oriente sconvolto dai venti di tempesta.

 

E, insieme, accende una speranza, dal momento che evidenzia come anche le mediazioni impossibili possono trovare una soluzione, e anche i più acerrimi nemici possono coabitare e addirittura condividere il potere. Una buona novella per il mondo che forse per questo, come altre, ha trovato poco spazio nell’informazione.

 

 

 

 

 

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