Il silenzio elettorale dell'Isis
Tempo di lettura: 3 minutiDa qualche tempo l’Isis sta in silenzio. Dopo mesi tambureggianti di attentati e proclami di guerra all’Occidente nei quali ogni giorno dava notizia di sé.
Dell’Agenzia del Terrore si sente parlare solo nel ristretto ambito della battaglia di Mosul, che la vede incalzata dalle truppe della coalizione internazionale impegnate a liberare la città.
Strano silenzio, che non è spiegabile solo con le ambasce indotte dall’offensiva sulla città irachena. Anche perché l’Agenzia del terrore più volte ha reagito ai momenti di difficoltà moltiplicando proclami e attentati, come hanno ripetuto all’esaurimento analisti e terrorologi di fama internazionale.
Né le difficoltà causate dai primi rovesci di Mosul di per sé impediscono l’azione dei cosiddetti lupi solitari, che agiscono supportati da reti locali in collegamento episodico e/o indiretto con il Califfato siro-iracheno, il quale è solo un motore immobile di una rete terroristica che vive di vita più o meno propria.
Certo, in quest’ultimo mese non sono mancate azioni anti-terrorismo che hanno impedito attentati programmati, e si sono registrati alcuni episodici ferimenti da parte di invasati del Terrore. Ma nulla di eclatante, nulla di minimamente equiparabile alla feroce macelleria precedente.
Un attivismo, quello passato, che, giova ripeterlo, aveva nel riverbero mediatico, ricercato in tutti i modi e con tecniche sofisticatissime, un pendant necessario. Un riverbero che nelle sporadiche azioni di questi ultimi tempi è stato rifuggito.
Insomma, quel che si registra è una sorta di inabissamento del mostro, scomparso dai radar dell’informazione internazionale.
Come detto, sarebbe alquanto illusorio immaginare tale situazione come dettata dai rovesci di Mosul. Quel che si osserva sembra piuttosto una precisa scelta da parte dei burattinai del Terrore, i quali in questi anni hanno dato prova di capacità strategiche e analitiche sopraffine.
Una scelta che appare dettata dall’attuale contesto internazionale. In questi giorni, infatti, si sta giocando la partita della Casa Bianca. Vicenda che interessa moltissimo l’Agenzia del Terrore, perché il suo esito avrà ripercussioni sulla sua attività postuma.
Se vince Hillary Clinton, concordano tutti gli analisti internazionali, aumenterà di molto l’assertività americana in Medio Oriente e nel mondo arabo, sia in funzione anti-russa sia nel quadro della riorganizzazione caotica dell’area propria dei dettami neocon ai quali ella si è consegnata.
Se vince Donald Trump, almeno stando alle sue reiterate dichiarazioni pubbliche, gli Stati Uniti cercheranno un accordo con la Russia in funzione anti-Isis, coordinamento oggi assente (cosa che offre all’Agenzia agevoli spazi di manovra).
È evidente quindi che la seconda opzione è vista dall’Isis come una minaccia, mentre l’elezione dell’ex Segretario di Stato, il cui attivismo necessariamente accrescerà l’area di destabilizzazione in Medio oriente e nel mondo arabo, consegna al Terrore nuove opportunità.
Da considerare anche che l’attivismo dell’Agenzia del terrore è stato usato dalla propaganda di Trump in chiave anti-Clinton. Il tycoon ha più volte accusato la rivale, e con lei il presidente Obama, di aver creato l’Isis e di averne favorito l’assertività.
Fondate o meno che siano, le accuse di Trump hanno colpito nel segno. Tanto che gli ultimi attentati made Isis in terra americana, come riconosciuto dagli analisti, gli hanno guadagnato consensi.
Non è impensabile, anzi è più che probabile data la capacità di analisi degli strateghi del terrore, che i burattinai dell’Isis abbiano compreso questa elementare dinamica. Da qui la consegna del silenzio, o quantomeno di una minore esposizione.
Un silenzio elettorale che se certo non favorisce attivamente la campagna presidenziale della candidata democratica, di certo non gli nuoce come avvenuto all’inizio del duello per la Casa Bianca.
Certo, è possibile che a ridosso del voto l’Agenzia possa compiere qualche azione spettacolare. Nel tempo breve, con un Trump impossibilitato a usare l’azione contro la rivale, un attentato potrebbe avere effetto contrario ai precedenti.
Una strage a ridosso delle urne potrebbe infatti avere un duplice effetto. Anzitutto potrebbe silenziare eventuali scandali dell’ultima ora contro la Clinton, promessi da wikileaks o di provenienza Fbi, il cui direttore pare impegnato in un duello all’ultimo sangue con l’ex segretario di Stato.
In secondo luogo potrebbe favorire l’affluenza al voto di elettori indecisi, in nome della stabilità di sistema. Quella stabilità che la Clinton incarna e rivendica in forza della sua lunga esperienza politica.
Ma è possibile, invece, che il silenzio elettorale dell’Isis permanga fino alla chiusura delle urne, stante che l’opzione attentato comporta incognite.
Fu il caso della vittoria di Zapatero nel 2004, favorita dalla strage di Madrid, che pure all’inizio sembrava dovesse giovare al suo rivale (a dimostrazione, peraltro, che il terrorismo internazionale interagisce non poco con le dinamiche elettorali).
Al di là delle eventuali sorprese dell’ultimo minuto, resta che è altamente probabile un ritorno di fiamma dell’Isis dopo la votazione americana, quale che sia il suo esito.
Il mostro si è solo inabissato. Né può permanere a lungo sottotraccia. Ne morirebbe, dal momento che si nutre e vive della lotta continua e della sovraesposizione mediatica.
Presto, quindi, tornerà a far riecheggiare il suo funesto ruggito. Il voto americano dirà se sarà ancor più minaccioso di quello risuonato finora.