24 Novembre 2016

Trump modera sugli immigrati

Trump modera sugli immigrati
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Sulla Repubblica del 24 novembre, Siegmund Ginzberg traccia un parallelo tra Reagan e Trump, riscontrando qualche affinità e accennando alle tante differenze. Interessante un passaggio: «Reagan accolse in America centinaia di migliaia di boat people in fuga via mare da Vietnam e Cambogia, Trump ha promesso di cacciare messicani e musulmani. Ma il diavolo potrebbe voler apparire molto più brutto di quanto è».

 

«Trump ora dice di voler deportare due-tre milioni di clandestini [così nel post elezione ndr.]. Ma aggiunge che ce l’ha con i “criminali, stupratori, trafficanti di droga”, e non con tutti i non in regola, perché tra loro “c’è anche tanta brava gente”. È pressappoco il numero di espulsi in questi anni da Obama. Molti meno dei 10 milioni che diceva di voler espellere il Trump candidato».

 

Nota a margine. A conferma di quanto scrive Grinzberg giunge la nomina di una figlia di migranti, Nikki Haley, di genitori indiani, come ambasciatrice all’Onu. E anche l’attesa nomina di un uomo di colore, Ben Carson, all’edilizia e allo sviluppo urbano, ministero che sta particolarmente a cuore al tycoon.

 

D’altronde anche l’idea del famigerato Muro tra Stati Uniti e Messico, tema sul quale ha insistito in campagna elettorale, pare sia andata in soffitta (peraltro era irrealizzabile, dati i costi e altro).

 

Trump sta moderando di molto il suo messaggio politico, dando prova di un approccio inclusivo, come dimostra ancora una volta il caso della Haley, che era stata sua critica durante la campagna elettorale.

 

Dopo aver rottamato la vecchia politica, di destra e di sinistra, sta ricercando un dialogo con essa e con altri mondi distanti, tra cui i suoi critici più accesi (ad esempio quel New York Times che in campagna elettorale tentò in tutti i modi, anche scorretti, di fermarlo).

 

Un approccio totalmente diverso, si parva licet componere magnis, dal rottamatore nostrano, che ha proseguito imperterrito sulla via della rottamazione, con il risultato di ritrovarsi isolato nel suo cerchio magico.

 

Sembra che Trump abbia imparato presto l’arte del compromesso, che nella politica, quando è alta, è più che essenziale. Un buon viatico per il suo mandato, che si preannuncia impervio.