16 Gennaio 2017

Tremonti e la fine della globalizzazione

Tremonti e la fine della globalizzazione
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La vittoria di Trump? «È la fine di un’epoca. La fine dell’utopia della globalizzazione. E, seppur in modo soft, questa data ha una portata storica simile alla caduta del comunismo». Così Giulio Tremonti in un’intervista al Corriere della Sera del 16 gennaio, accennando al 20 gennaio, giorno dell’insediamento di Donald Trump.

 

L’utopia della globalizzazione «è durata vent’anni esatti. Lanciata nel gennaio del 1996 col secondo mandato alla Casa Bianca di Bill Clinton, immaginata come l’anno zero dell’umanità, articolata come progetto di creazione dell’uomo nuovo», che aveva come pendant l’esportazione della democrazia, esportata come «fosse un hamburger».

 

«Nel glorioso ventennio della globalizzazione, il conflitto millenario tra potere e denaro è stato superato: il denaro ha battuto e assorbito il potere. Il derby tra Imperatore e Creso l’ha vinto Creso. Con una specifica. Creso non voleva solo fare i soldi, ma anche occuparsi degli interessi dell’umanità. L’umanità se n’è accorta e si è ribellata».

 

Nota a margine. Più che interessante come analisi, anche se non convince del tutto la data di inizio della globalizzazione: se è vero che è stata lanciata nel secondo mandato di Clinton, è vero anche che tale incipit va forse collocato prima. In realtà la globalizzazione, come spazio geopolitico nuovo, inizia con la fine del comunismo.

 

Caduto l’Impero d’Oriente, l’Impero d’Occidente doveva occupare lo spazio lasciato libero: la politica – e la geopolitica – non conosce il vuoto. L’Impero d’Occidente si è quindi imposto come potenza non solo planetaria, ma globale, nel senso più largo del termine, ovvero come modello economico, politico, sociale, ma anche come ente produttore di valori da condividere (con l’imperativo).

 

Tale novità viene icasticamente ostentata al mondo con la prima guerra del Golfo, che un simbolismo perfetto ha fatto condurre a George Bush padre (che pure la concepì come conflitto classico, tanto che lo volle limitato, frenando i neocon che volevano spingerlo a conquistare Baghdad).

 

Proprio in questa guerra, peraltro il primo esperimento di esportazione della democrazia, viene posto a tema il villaggio globale. E proprio per consacrare questa nuova era, e come strumento necessario ad essa, durante quel conflitto nasce la Cnn, la prima televisione globale, anzi la prima televisione del villaggio globale.

 

Su tali concetti geopolitici il clintonismo ha innestato l’elemento economico, che caratterizza in effetti il ventennio successivo: è con la sua amministrazione che la finanza diventa Finanza, un nuovo mostro che ha nello spazio globale il suo ambito di sviluppo inevitabile e necessario.

 

Non convince affatto, invece, nell’analisi di Tremonti, l’idea che uno dei pilastri della globalizzazione sia la creazione dell’uomo nuovo, individuato nel «consumatore perfetto». In realtà la Finanza non sa che farsene dei consumatori, da qui anche l’attacco della classe media. Non sa che farsene semplicemente perché non  produce beni, né fa soldi vendendo tali prodotti ai consumatori. Fa i soldi con i soldi.

Ma su questa idea torneremo, val la pena approfondirla.

 

Detto questo, forse è ancora presto per parlare della fine della globalizzazione: più che probabile finisca la globalizzazione impazzita conosciuta finora, ma è difficile immaginare che la Finanza possa tornare al posto che aveva prima di questo ventennio, lasciando alla politica la direzione dei destini dei popoli e tornando per lo più al servizio dell’economia di produzione. Probabile si porranno dei correttivi a certe follie, ma resta da capire come andrà a riequilibrarsi, semmai avverrà in tempi e modi ad oggi ignoti, il quadro globale.