Le elezioni in Francia e la globalizzazione
Tempo di lettura: 2 minutiMai elezioni francesi hanno avuto tale importanza. Perché la posta in palio è alta, e ha a che vedere con il destino della globalizzazione.
L’onda lunga iniziata con la vittoria dei Leave al referendum sulla Brexit ha investito l’America con la vittoria di Trump e ha rinforzato.
Tanto che, dopo aver toccato l’Italia provocando la vittoria dei No al referendum sulla riforma costituzionale, sembrava destinata a investire con tutta la sua forza la Francia, portando il Front national di Marine Le Pen a una vittoria che avrebbe segnato il destino della globalizzazione (ovvero a una riforma dell’odierno modello attuativo, dal momento che è impossibile cancellarla essendo ormai irreversibile).
All’ondata iniziale, in realtà, è invece seguita la risacca: la vittoria di Trump è stata per tanti versi normalizzata e la prima fase delle elezioni francesi ha dimostrato che la vittoria del Front non è affatto destino manifesto, anzi.
A vincere la prima tornata elettorale, infatti, è stato Emmanuel Macron, il candidato della Destra tecnocratica, quella votata alla religione della globalizzazione amministrata dalla grande Finanza.
Detto questo, il verdetto finale si saprà a giorni, quando il ballottaggio tra i due leader di destra, quella tradizionale e quella tecnocratica, sarà compiuto.
Si possono rinvenire alcune analogie tra questo ballottaggio e quello avvenuto alle ultime elezioni americane. Come Bernie Sanders anche Jean-Luc Mélenchon ha dato voce a una sinistra che non si riconosce in quella consegnata al credo della globalizzazione di cui è espressione residuale il partito socialista tradizionale (ai minimi storici).
E come avvenne per gli elettori di Sanders, anche quelli di Mélenchon faticano a dare il proprio voto al candidato che si oppone alla destra sovranista (rappresentata allora da Trump e in Francia dalla Le Pen), riconoscendo in Macron non un argine alla Destra, come viene rappresentato per attrarre i voti dei gollisti e della sinistra, ma un nemico altrettanto se non più pericoloso.
E ancora, anche in Francia, come negli Stati Uniti, il candidato della globalizzazione non accetta compromessi con le forze che in teoria, e in pratica, possono risultare decisive alla sua affermazione.
Allora la Clinton rifiutò ogni compromesso con Sanders, oggi Macron non solo non cerca un qualche accordo con Mélenchon, ma raccoglie l’endorsement dei Repubblicaines (ex gollisti) e dei socialisti (e di altri) come un dato ineluttabile, senza offrire in nulla in cambio.
Questo rifiuto non è dettato da contingenze politiche, ma della natura stessa della candidatura di Macron. Egli, infatti, è esponente estemporaneo del credo della globalizzazione, una religione essenzialmente fondamentalista, quindi incapace di contemplare trattative o negoziati, ma solo rapporti di forza. E di forza ne ha tanta.
Questa l’estrema sintesi di un mio articolo pubblicato sugli Occhi della Guerra. Per leggere l’integrale cliccare qui.