22 Luglio 2017

Macron e il caos libico

Macron e il caos libico
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«Emmanuel Macron tenta di scalzare l’Italia nella partita libica facendo entrare a gran voce la sua Francia nel complicato dossier del Paese maghrebino».

 

«E lo fa con la pretesa di far incontrare il presidente del Governo di accordo nazionale (Gna), Fayez al-Sarraj, e il generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica, in un vertice fissato a Parigi per martedì 25 luglio, per puntare tutto sulla creazione di un esercito nazionale unitario». Così Francesco Semprini sulla Stampa del 22 luglio, in un articolo dolente per la mossa del cavallo transalpina, che diminuirebbe il ruolo dell’Italia come intermediatore del conflitto tra i due protagonisti della crisi libica.

 

E ciò nonostante sia stata proprio Parigi, con Nicolas Sarkozy, a trascinare la Nato in quella guerra contro il Colonnello Gheddafi che ancora produce frutti velenosi; e nonostante sia l’Italia a subire tutte le conseguenze dell’instabilità, ovvero ad annaspare sotto il peso dei flussi migratori. Non solo: Parigi si muoverebbe solo per interesse, ovvero per garantirsi i dividendi del petrolio.

 

Tutto vero, anche se a onor del vero c’è da aggiungere che l’Italia, storica alleata della Libia del Colonnello, lo colpì alle spalle, alleandosi alla legione dei valorosi destabilizzatori del Paese. E che anche l’Italia, nella sua attuale opera di mediazione, non si muove certo per filantropia, ma per mero interesse. Il petrolio libico fa gola a tutti.

 

Diverso il discorso sulle migrazioni: ma sta all’Italia tentare di far valere il principio che la Francia non può prendersi il petrolio libico lasciandoci tutto l’onere di accogliere i migranti che partono dalle sue sponde. Anche se è un po’ difficile immaginare che Roma possa farsi valere in tal senso.

 

E a nulla vale addolorarsi, come viene accennato nell’articolo, dell’eventualità che Trump si sia accordato sul punto con Macron nella sua recente visita in terra francese (14 luglio).

 

Ognuno fa il suo gioco. Parigi il suo. Né serve rammaricarsi che chi allora seminò tempesta oggi rischia di raccogliere tutt’altro che vento. È il gioco della politica e le colpe di Sarkozy non possono ricadere su Macron, che è intenzionato a chiudere la stagione neocon inaugurata dal gallo di origine ungherese (vedi Piccolenote).

 

Di certo c’è che l’iniziativa francese ha avuto il plauso di «Emirati Arabi Uniti ed Egitto, i due principali sponsor del generale», come ricorda Semprini. Ciò fa sperare che potrebbe essere la volta buona per trovare il bandolo della matassa di una instabilità che dura da tempo. L’ordine peraltro attutirebbe anche il flusso dei migranti, cosa della quale si gioverebbe l’Italia.

 

Da questo punto di vista, Roma farebbe bene a non contrastare l’iniziativa francese cercando di rubarle il piatto, ma ad affiancarla e a sostenerla. Anche perché contrastandola non otterrebbe certo contratti lucrosi per sé, solo il perdurare del caos. Se invece aiutasse Macron in questa impresa non certo facile, potenti ancora soffiano i venti del caos, forse ne ricaverebbe qualcosa.

 

Ma al di là delle velleità italiane più o meno realistiche, resta da registrare l’ennesima prova della vitalità francese. Dopo aver ospitato in Francia (a ritmo più che serrato) Putin, Trump e Netanyahu, Macron si candida a giocare un nuovo ruolo anche nel Mediterraneo. Per un presidente che vuole rinverdire la grandeur perduta è un buon inizio.

 

Val la pena accennare anche a un altro dato: la Germania viene dipinta come una potenza economica mondiale di prima grandezza. E lo è. La Merkel come la donna più potente del mondo. E forse lo è. Ma seppur potenza economica, Berlino non tocca palla nell’ambito della politica internazionale che conta.

 

La Francia dimezzata, sia economicamente che politicamente, per contrasto, lo evidenzia in maniera più che evidente. Ciò pone domande sul destino dell’Europa, che è stata affidata appunto nelle mani della ricca, povera Germania.

 

Nella foto: Serraj (destra) e Haftar