4 Agosto 2017

Chaïm Soutine, Le Village

Chaïm Soutine, Le Village
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Chaïm Soutine è uno di quei pittori così grandi e disarmati che è impossibile non amarli. Quando a Parigi al museo dell’Orangerie si arriva all’ultima sala dove sono raccolte gran parte delle sue opere collezionate da Paul Guillaume (il grande collezionista, anche di Modigliani) prende davvero un tuffo al cuore.

 

Questo quadro, intitolato Le Village, dipinto nel 1924 fa parte proprio di quel gruppo di opere. Soutine era nato in Bielorussia nel 1893 da famiglia ebrea poverissima. Nel 1913 insieme a due amici pittori si era trasferito a Parigi, dove aveva conosciuto tutti gli artisti della stagione d’oro di Montparnasse.

 

Soutine era strutturalmente inquieto, un’inquietudine che riversava nei suoi quadri, che sembrano sempre quasi febbricitanti. Amava dipingere un’umanità marginale, nature morte di animali davvero morti e paesaggi come questo.

 

Qui siamo nel sud della Francia a pochi chilometri da Cagnes, un paese dove spesso si ritirava a dipingere. Davanti a noi c’è un villaggio travolto da un vento caldo e impetuoso. Un paese messo tutto sottosopra non da una forza distruttiva, ma da un’energia esattamente opposta.

 

Lo sguardo di Soutine è come uno sguardo che eccede di passione, che si deposita sulle cose trasformandole in realtà animate. Così quello che vediamo è come una sorta di sussulto della terra. Un risveglio impetuoso, legittimamente selvaggio perché la vita nel suo esplodere non può sottostare a regole.

 

Soutine osserva il mondo con sguardo tanto ardente, al punto che la sua pittura sembra lì lì per incendiarlo. Le case, gli alberi, le strade e il cielo non stanno più in loro stessi, rompono le righe e gli spazi destinati, finiscono gli uni negli altri come sospinti da reciproca attrazione.

 

La pittura di Soutine è tutta un sommovimento, nelle immagini, nei colori, nella materia, spesso stesa con la spatola. Superficialmente potrebbe essere incasellata come pittura di un uomo tormentato: ma è una lettura che non tiene, perché non spiega un’eccedenza di passione così palese; e non spiega neppure l’attrazione e anche la simpatia che suscita in chi la guarda.

 

Meglio dire che si tratta di pittura innamorata, quindi inquieta. O meglio, pittura com-mossa, nel senso etimologico e concreto della parola. Con-mossa dalla densità del reale.