La vittoria dell'inutile Merkel
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Il 24 settembre si voterà in Germania. Elezioni che appaiono scontate: vincerà Angela Merkel, punto. Tanti i fattori che determineranno tale esito.
Anzitutto la mancanza di uno sfidante credibile, ché Martin Schulz, il cavallo socialdemocratico, è una figura scialba, ottima per condurre un’opposizione di risulta, scelta allo scopo dalle stesse élite di cui è espressione la Merkel.
Ma al di là della sfida tra partiti, la Cancelliera gode di consenso interno senza precedenti: ha infatti conseguito e garantito prosperità al suo Paese. Da qui il favore dei cittadini, ma anche delle élite economico-finanziarie della cui egemonia la Cancelliera si è fatta garante.
Non solo in ambito interno, ma anche in sede Ue, della quale la Germania a guida Merkel è diventata primo motore immobile, dove “immobile” non è aggettivo casuale.
Infatti, l’Unione europea a trazione tedesca in questi anni ha avuto un solo scopo: sostenere la crescita tedesca a scapito delle economie degli altri Stati membri e garantire che tale assetto non fosse messo in discussione.
Obiettivo conseguito subordinando le economie e la finanza dei Paesi della Ue a quella tedesca grazie alla leva esercitata dal ristretto quanto autoreferenziale circolo di Bruxelles. Anche a costo, anzi con il necessario esito, di impoverire le economie degli altri Stati, fino a polverizzarne uno (il riferimento ovvio è alla Grecia).
In sede internazionale, inoltre, la Merkel ha garantito che la Ue restasse fedele ai dettami della globalizzazione, ovvero dell’internazionale della Finanza, la quale ha ormai trionfato sull’internazionale socialista tanto da renderla del tutto succedanea e subordinata ai suoi fondamenti (almeno in Occidente e salvo rare eccezioni che confermano la regola).
Infine, ancora a livello internazionale, la Cancelliera ha garantito alle élite politico-finanziarie internazionali che la Germania restasse fedele allo schema che la vuole un gigante economico e un nano politico.
Uno schema che la Germania della Merkel ha esteso, grazie al suo ruolo egemonico, all’intera Ue, risultata del tutto assente nelle crisi internazionali (se qualche ruolo ha avuto, vedi ad esempio l’accordo sul nucleare iraniano, è solo perché ad altri, in questo caso l’amministrazione americana, serviva una sponda).
Quanto abbiamo descritto può apparire banale: conservare lo status quo in fondo è prerogativa delle forze che si pongono come conservative, forze alle quali la Merkel è consegnata.
E però quanto avvenuto in questi anni, sia in ambito Ue che in ambito internazionale, non è frutto del consolidamento di assetti precedenti, quanto di un processo che si può definire rivoluzionario.
Un processo che ha visto la globalizzazione affermarsi in via provvisoriamente definitiva (anche se la Brexit in Gran Bretagna e la vittoria di Trump in America ne sfidano i fondamenti), vincendo le varie resistenze in ambito politico ed economico-finanziario.
Anche l’egemonia tedesca sulla Ue è frutto di un processo più che dello stabilizzarsi di equilibri precedenti, ché anzi il passato ha visto la leadership europea ruotare attorno all’asse franco-tedesco (sul punto vedi nota a margine).
Insomma, la Merkel è figura di garanzia rispetto a certe élite culturali-finanziarie nazionali e internazionali, che le hanno tracciato la via da seguire. Un alveo dal quale la Cancelliera non ha mai deviato.
Anche lo slancio umanitario che l’ha vista paladina dell’apertura indiscriminata ai migranti non era palpito personale ma grammatica altrui: la prosperità tedesca aveva (e ha) bisogno di nuova linfa vitale, stante le deprimenti prospettive demografiche.
Palpito peraltro minato da venature razziste, dato il privilegio accordato ai migranti siriani rispetto ad altri (perché più istruiti e integrabili), e poi rientrato dopo i cosiddetti incidenti di Colonia (molestie sessuali di massa ad opera di migranti programmati allo scopo, sul punto vedi Piccolenote). Un passo indietro dettato dagli stessi ambiti che l’avevano autorevolmente suggerito.
Così quella della Merkel è risultata una leadership utilissima agli ambiti cultural-finanziari tedeschi, europei e internazionali, inutile se non dannosa per i singoli Paesi Ue, per la stessa Unione europea e per il mondo, impoverito del ruolo di mediazione che il Vecchio Continente aveva esercitato tradizionalmente nel dopoguerra nelle controversie internazionali.
Detto questo, oltre che auspicabile, è probabile che l’Unione europea vada a cambiare dopo la riaffermazione elettorale della Merkel: la leadership tedesca sulla Ue, ormai stabilizzata, potrebbe infatti avere nocumento dall’ulteriore depauperamento dei Paesi membri.
La prosperità tedesca necessita che i Paesi ancillari siano, se non altrettanto prosperi, almeno stabilizzati (ulteriori depauperamenti, infatti, potrebbero far collassare non solo i singoli Paesi, ma l’intero sistema, Germania compresa).
La stabilizzazione economico-finanziaria dei Paesi della Ue, quantomeno di quelli più importanti, è inoltre necessaria a Berlino se vuole avere una proiezione globale, cosa sempre più necessitata dal suo prorompente sviluppo. Non tanto sul piano economico, già attestato a livello globale, quanto su quello politico.
Se l’opzione di restare un “nano politico” è stata fondamentale per lo sviluppo tedesco, dal momento che ha evitato alla Germania contrasti a livello internazionale (anzi è stato favorito per i motivi sopra indicati), adesso non è più così.
A una proiezione globale ormai stabile a livello economico-finanziario, necessita una parallela crescita di influenza globale. Che non sarà, né può essere, solo tedesca (non solo per le ombre del passato), ma, almeno formalmente, della Ue.
A favore di questa proiezione globale della Ue a guida tedesca gioca la Brexit, che ha tolto alla Germania un ostico quanto rilevante partner europeo, peraltro sempre pronto al contraddittorio; come anche la presidenza di Donald Trump, sempre che l’isolazionismo di cui si è fatto bandiera si realizzi. Non esistono vuoti in geopolitica, ma spazi da occupare.
Ma questo è il futuro. Al quale la prossima presidenza Merkel sembra destinata dopo quella che appare una scontata vittoria. Detto questo, l’affermazione di Emmanuel Macron in Francia, e la sua intraprendenza internazionale, pone una variabile nuova in questa prospettiva.
Può aiutare la Francia, ma anche gli altri Paesi europei (l’Italia compresa) a far sì che tale prospettiva globale della Ue a traino tedesco sia frutto di convergenze reali piuttosto che di facciata e consegnata agli interessi della sola Germania.
Nota a margine: In realtà l’Italia ha avuto un ruolo di primo piano in Europa per decenni. Non solo perché Paese fondatore, ma grazie alla lungimiranza della sua classe politica della cosiddetta Prima repubblica. In quegli anni il nostro Paese è stato crocevia quasi obbligato del dialogo tra Est e Ovest quanto del diversificato ambito Mediterraneo, interloquendo sia con il mondo arabo che con Israele.
Tale ruolo è finito con la fine della cosiddetta prima repubblica. Non è un caso, ma un disegno andato a buon fine di ambiti nazionali e internazionali disturbati da tale indebito protagonismo.