Catalogna: il conflitto appare congelato
Tempo di lettura: 3 minutiSegnali di congelamento della crisi spagnola dopo l’incendio innescato dal referendum per l’indipendenza della Catalogna. Sulla Repubblica dell’8 ottobre, le parole di Jordi Xuclà, una sorta di ambasciatore catalano a Madrid, che spiega: «La dichiarazione di indipendenza? No, non è affatto certo che si faccia. La situazione è grave. In questo momento sono all’opera un gruppo di mediatori per evitare conseguenze irreparabili».
Non solo Xuclà, sempre Repubblica riporta la sintesi di un’intervista che Artur Mas, predecessore di Carles Puidgemont alla presidenza della Generalitat e primo motore immobile dell’iniziativa secessionista, ha rilasciato al Financial Times, nella quale ha affermato «che la Catalogna non è ancora pronta per “l’indipendenza reale”».
Nel frattempo, alcune banche e aziende di rilevanza primaria (ad esempio Caixabank e Gas natural Fenosa) hanno dichiarato di aver spostato la loro sede da Barcellona ad altre città spagnole.
Sotto questo profilo, in un articolo del pubblicato sul Corriere della sera il 5 ottobre, Federico Fubini paragonava la crisi catalana a quanto avvenuto in Grecia, quando Alexis Tsipras indisse un referendum sul piano di salvataggio elaborato da Bruxelles che, al di là del quesito contingente, «avrebbe potuto portare all’abbandono dell’euro».
La consultazione popolare gli accordò la vittoria, ma non servì a nulla: la stretta creditizia e il collasso precipitoso dell’economia lo indussero a piegarsi ai diktat della Ue (leggi Germania).
I secessionisti catalani sembrano interrogarsi sui prossimi passi e forse la dichiarazione di indipendenza, annunciata dal presidente Carles Puidgemont per il prossimo lunedì, se pure si farà, potrebbe assumere caratteri meno esplosivi.
Su un articolo del Corriere della Sera dell’8 ottobre, si ricorda un precedente, quando Lluis Companys, il 6ottobre del 1934, annunciò «la Repubblica di Catalogna federata alla Spagna e durò 10 ore. La dichiarazione di indipendenza eventualmente annunciata dal presidente della Generalitat Puidgemont, semmai avverrà, sarà forse “in attesa di indipendenza effettiva” e vedremo quanto e se durerà
».
Probabile che Puigdemont proceda sul cammino intrapreso, stante che ritrarsi avrebbe il valore di una sconfitta irrimediabile, ma si potrebbe avere una dichiarazione con carattere del tutto simbolico, tale da non compromettere la via del compromesso.
Ad oggi Rajoy, nonostante la rigidità, si sta limitando a negare legittimità al referendum e a trattare la questione catalana come problema di ordine pubblico. Tanto che a destra lo accusano di immobilismo, come riporta in maniera intelligente un articolo della Stampa scritto da Francesco Olivo.
In particolare, il primo ministro spagnolo non ha ancora brandito, neanche verbalmente, l’articolo 155 della Costituzione, che conferisce al governo il potere di adottare “misure straordinarie” in caso di minacce alla sicurezza nazionale. Richiesta ipotizzata da tanti media e avanzata da più parti.
Probabile che a frenare Rajoy sia la possibilità di cadere in una trappola, dal momento che egli dovrebbe dettagliare e sottoporre al Parlamento le “misure” che intende adottare, con il rischio di una bocciatura.
I socialisti, infatti, sebbene sulla questione catalana (al netto delle divisioni interne) sostengano Rajoy, potrebbero non accettare le misure proposte e unire i loro voti a quelli delle altre opposizioni, tanto da far cadere il governo.
Ma la titubanza di Rajoy può essere spiegata anche come un modo di far decantare la situazione nel tentativo di evitare lo scontro finale, che precipiterebbe il Paese nell’abisso.
Infatti, se tanti analisti spiegano che l’indipendenza della Catalogna è semplicemente impossibile perché innescherebbe una crisi creditizia ed economica senza precedenti, sembrano dimenticare che il crollo di Barcellona non sarebbe senza conseguenze per il resto della Spagna. Simul stabunt simul cadent è proverbio latino che si adatta al caso.
Forse questo spiega due passi distensivi compiuti in questi giorni dalle autorità spagnole: il prefetto della Catalogna (che dipende da Madrid) si è scusato per le violenze commesse dalla Guardia civil durante lo svolgimento della consultazione e il ministro degli Esteri Alfonso Dastis ha affermato: «Non manderemo l’esercito» in Catalogna (vedi nota a margine).
È ancora pochino. Ma Rajoy non può recedere dalla via della fermezza: suonerebbe come un cedimento e gli farebbe perdere le simpatie nazionaliste acquisite finora. Una situazione speculare a quella del suo avversario Puigdemont, che perderebbe i consensi dei duri e puri del secessionismo.
Ma se le rigidità precedenti davano l’idea di due treni lanciati l’uno contro l’altro, oggi tali treni sembrano viaggiare su tracciati paralleli. Distanti, certo, ma con possibilità di convergenze parallele. Lunedì vedremo se la pausa domenicale avrà portato consiglio o meno.
Nota a margine. Dastis è lo stesso che aveva dichiarato che non si sarebbe opposto all’adesione della Scozia alla Ue in caso di secessione della stessa dalla Gran Bretagna… la teoria della relatività non attiene solo la Fisica, ma anche la politica.