Iran: la partita è ancora aperta
Tempo di lettura: 3 minutiTillerson si smarca dal presidente e in un’intervista alla Cnn dichiara che gli Stati Uniti vogliono modificare il trattato nucleare con l’Iran, ma conservarlo. Una frase che appare conciliante, dopo le fiammate di Trump.
Una sconfessione a metà del presidente, dal momento che questi, pur avendo dichiarato la violazione dell’Iran riguardo i patti sul nucleare, ha però evitato rotture irrevocabili, rinviando al Congresso la facoltà di emettere o meno sanzioni contro Teheran (sul punto vedi Piccolenote).
Sia Tillerson sia Trump hanno sempre detto che il trattato va modificato. Si apre dunque una fase di complessi negoziati. Ma il tema centrale non sarà tanto il nucleare iraniano, dal momento che gli Stati Uniti resterebbero isolati, ma altro.
Due i punti chiave. Il primo è il programma missilistico iraniano. Un tema evocato nel discorso di Trump e che è presente, come preoccupazione, anche nella nota congiunta emanata da Gran Bretagna, Francia e Germania, che pur ribadiva la volontà di tali Paesi di conservare il trattato sul nucleare (vedi articolo segnalato in precedenza).
Tutto inizia quando, dopo l’assalto al Parlamento iraniano da parte dell’Isis, Teheran ha risposto lanciando missili sui terroristi appostati attorno a Deir Ezzor.
Per Tel Aviv e Ryad è stata come un’epifania: Teheran aveva dimostrato la potenzialità del suo apparato missilistico, e la sua precisione. E soprattutto che poteva colpire Israele e Arabia Saudita.
Così tali Paesi chiedono a Stati Uniti ed Europa, loro storici alleati, di contenere il programma missilistico iraniano, percepito come una minaccia esistenziale.
Non solo i missili. La fine di questa fase delle guerre neocon, iniziata con l’invasione dell’Iraq e proseguita con l’aggressione alla Siria, sta vedendo la vittoria dell’Iran, tacito obiettivo finale di tali guerre.
Si sta realizzando cioè la mezzaluna sciita, ovvero la continuità territoriale dell’area di influenza iraniana da Teheran al Libano. Sauditi e israeliani non riescono ad accettare tale novità geopolitica.
Da qui anche l’altra richiesta agli alleati d’Occidente affinché sia scongiurata la presenza permanente di milizie e basi militari iraniane in Siria e Iraq, oggi necessitata dalla lotta contro l’Isis a fianco di Damasco e Baghdad.
Questi i veri nodi che il nuovo negoziato tra Stati Uniti e Iran dovrà affrontare. Del quale saranno partecipi anche i Paesi europei che, seppure oggi sono distanti da Washington sul trattato nucleare con l’Iran, ne condividono le preoccupazioni su tali tematiche.
Trattativa complessa. All’Iran sarà chiesto un contenimento sia sul piano del programma missilistico che sulla presenza nella mezzaluna sciita in cambio della prosecuzione dell’agibilità internazionale che si è aperta con il trattato sul nucleare.
L’Iran potrebbe fare concessioni, ma fino a un certo punto. Non gli si può chiedere di rinunciare del tutto alla propria sicurezza nazionale e ai propri interessi nella regione.
Da qui la difficoltà del negoziato. Sta alla diplomazia riuscire a trovare una formula che soddisfi tutti. Ma sono tante le incognite.
I neocon tenteranno di alzare al massimo la posta fino a porre condizioni impossibili da accettare.
L’eventuale rottura sarà quindi totalmente addossata a Teheran, additata come un Paese con il quale non si può negoziare.
Al contrario di oggi, tale trattativa, abbiamo accennato, vedrà anche la presenza di mediatori europei. Ai quali, dopo la rottura, sarà più difficile prendere le distanze dalla crociata voluta dai neocon.
Altra variabile, non meno nefasta della precedente, quella di imporre condizioni mirate ad accrescere la conflittualità interna tra conservatori e progressisti, così da dar vita a una rivoluzione interna a Teheran.
Come detto, si apre una fase delicatissima. C’è da attendere, ad oggi gli avversari si studiano. Ma le dichiarazioni di Tillerson, che certo non ha parlato a titolo personale (i generali dell’amministrazione, e non solo, lo sostengono), hanno un significato inequivocabile: la partita è ancora aperta.