Si dimette Barzani: altro colpo all'indipendentismo curdo
Tempo di lettura: 3 minutiIl processo indipendentista del Kurdistan iracheno subisce un nuovo colpo: si è dimesso il presidente Masoud Barzani che è stato primo motore immobile (almeno finora) del processo secessionista, iniziato con il referendum del 25 settembre.
Il passo di Barzani era stato preceduto da un appello alle autorità di Baghdad, nel quale il presidente del Kurdistan aveva chiesto l’inizio di un dialogo nella cornice della Costituzione.
Con tale iniziativa sembrava dunque aver accettato l’idea di incanalare le aspirazioni secessioniste nei binari meno eversivi di un processo federalista.
In più aveva offerto il congelamento della dichiarazione di indipendenza in cambio della cessazione delle ostilità da parte del governo centrale.
Infatti, l’esercito di Baghdad, subito dopo la dichiarazione di indipendenza, aveva intrapreso operazioni militari volte a riprendere il controllo di Kirkuk e delle aree limitrofe, che galleggiano su un mare di petrolio e che il Kurdistan aveva indebitamente annesso in forza del diritto acquisito nella lotta contro l’Isis.
Secondo la narrazione curda erano stati i peshmerga curdi, infatti, a liberare quella aree dal Califfato. Narrazione opposta a quella di Baghdad, che aveva visto con sospetto la ritirata strategica dell’Isis dalla zona, che aveva favorito il facile successo delle milizie curde.
Ma questo è il passato. Dimettendosi, Barzani apre una fase di questo scontro. A far decidere il presidente curdo in tal senso non sono state solo le mosse di Baghdad, ma anche l’isolamento internazionale.
Sia l’Iran che la Turchia avevano infatti mostrato aperta ostilità alla nuova entità curda, ritenuta foriera di ulteriore instabilità ai propri confini. Da qui il coordinamento con Baghdad per chiudere i cieli e le frontiere del Kurdistan in una morsa di ferro.
Anche la Russia, ormai protagonista imprescindibile delle vicende mediorientali, pur riconoscendo la necessità di corrispondere alle ispirazioni curde, aveva però precisato che dovevano trovare risposta nel quadro dell’integrità territoriale irachena.
Né Erbil aveva ricevuto l’agognato appoggio degli Stati Uniti, che pur considerando i curdi preziosi alleati regionali, non potevano sposare una causa che li avrebbe messi in aperto contrasto con Baghdad.
Un isolamento internazionale complicato dalle opposizioni interne, in particolare del Puk, l’Unione patriottica curda, e del Gorran, contrarie all’avventurismo di Barzani.
Ma anche dal fatto che la stretta sulla regione metteva a rischio la commercializzazione del petrolio curdo, la sua unica vera risorsa, stante che il vitale oleodotto Kirkuk-Ceyhan rischiava di chiudere i rubinetti.
Le dimissioni di Barzani segnano dunque una svolta, anche se ancora Baghdad si mantiene cauta, limitandosi a lanciare appelli volti a mantenere la calma, e Ankara e Teheran osservano gli sviluppi in silenzio.
Il problema, infatti, è che Barzani non sembra intenzionato a mollare la presa. Dimettendosi ha tenuto infatti a ricordare che era e resta un peshmerga al servizio del popolo curdo.
Parole che sembrano preludio a un’azione di contrasto più sottotraccia, ma non meno eversiva, anzi. Come sembra indicare la sollevazione dei suoi, che hanno preso d’assalto il Parlamento armati di bastoni e attaccato uomini e strutture dei partiti di opposizione.
Gli sviluppi sono ancora tutti da scoprire, anche se le dimissioni di Barzani vanno registrate come dato di primaria importanza per i destini dell’area e del mondo, stante che le intricate vicende mediorientali hanno eco internazionale.
Ma ad oggi si può registrare come siano del tutto fuori luogo gli appelli alla difesa del valoroso popolo curdo lanciati di alcuni intellettuali occidentali (tra i quali citiamo Bernard Henry Levy e Adriano Sofri).
Non solo per le implicazioni internazionali di un nuovo conflitto in Medio Oriente. Ma anche perché il popolo curdo degno di tale attenzione sarebbe limitato ai soli sostenitori del presidente Barzani, il partito democratico curdo (Pkd).
Infatti i curdi del Pkk (partito comunista curdo) sono esclusi dal novero perché considerati terroristi dal Pkd e come tali combattuti. Tanto che sembrano intenzionati a costituire la loro patria in Siria attraverso una soluzione federalista da ricercarsi attraverso il dialogo con Damasco (che ha fatto aperture in tal senso).
Per parte loro il Puk e il Gorran, anche loro contrari a Barzani, sono oggetto di violenza squadrista di tipo fascista.
Tali i campioni della libertà che gli intellettuali de’ noantri esaltano sui media occidentali.
Ps. A denunciare in maniera puntuale e assertiva la prospettiva indipendentista di Barzani era stato in particolare il leader indiscusso del Puk, Jalal Talabani, che forse avrebbe potuto porre un freno alla deriva che ha portato il Kurdistan sull’orlo dell’abisso. Purtroppo è morto in Germania il 3 ottobre, otto giorni dopo la celebrazione del referendum che ha aperto il vaso di Pandora.