Arabia saudita vs Iran
Tempo di lettura: 3 minuti«Siamo giunti allo scontro frontale tra Arabia Saudita e Iran. Ma il sistema di governo a Riad è troppo diviso, non organizzato per sostenere il confronto con quello centralizzato di Teheran. Da qui la mossa del principe ereditario Mohamed bin Salman, che eliminando ogni possibile concorrente tra i principi, i ministri e gli ex ministri sauditi si prende il potere assoluto
». Così il politologo francese Gilles Kepel, che da anni segue da vicino la vicenda della penisola arabica, spiega la rivoluzione accaduta a Ryad.
Insomma, l’intento del principe ereditario è quello di creare un regime (tale è la definizione che più si adatta al nuovo ordine saudita, termine che presumibilmente verrà evitato dai giornali mainstream perché riservato solo ai governi invisi all’Occidente).
Mbs (nomignolo di Mohamed bin Salman) vuol quindi consolidare il suo potere per far fronte alle varie crisi regionali, quella che vede i sauditi contrapposti al Qatar e, in Yemen, ai ribelli Houti, ma soprattutto prepararsi a un conflitto con l’Iran.
Interessante l’accenno agli Stati Uniti, dal momento che senza il loro appoggio Ryad non può iniziare una guerra contro l’Iran.
Molti analisti danno tale sostegno per scontato, stante i rapporti tra Trump e Ryad, ma il politologo francese è meno certo, dal momento che «l’amministrazione Trump è nel caos, non ha linee politiche precise e condivise tra i suoi massimi artefici. Ciò che afferma il Presidente può venire smentito poco dopo dal suo Segretario di Stato e viceversa
».
Ci sarà uno scontro aperto contro gli sciiti, dunque? «Non credo». risponde Kepel. «Gli sciiti sono troppo forti. Neppure Riad vuole precipitare nello scontro armato».
Al momento quel che è certo è la purga interna, che prevede «congelamenti immediati e sequestro dei conti bancari ancora prima di qualunque udienza giudiziaria
», come scrive Pierre Balanian su Asia News.
Tali beni, un’enormità di soldi dati gli immani patrimoni dei principi sauditi, verranno presumibilmente dirottati nelle casse dello Stato, così che Mbs si troverà a gestire un patrimonio senza eguali sul pianeta.
Le mosse di Mbs incontrano il favore di Israele, che teme come Ryad il consolidarsi della mezzaluna sciita nella regione. E ritiene sia giunta l’ora di ridimensionare hezbollah, dilagata ai suoi confini dopo aver preso il controllo delle aree cadute preda dell’Isis.
Ma su Haaretz, Daniel B. Shapiro, pur professando la necessità di un confronto con hezbollah in risposta a un’aggressione iraniana o di Hezbollah, «scintilla», quest’ultima, in grado di scatenare l’incendio, mette in guardia: «I leader israeliani devono fare attenzione a non ritrovarsi in un confronto prematuro dalle manovre dei loro alleati di Riyad».
Come si vede, anche in Israele non mancano gli inviti alla prudenza. Si può concludere con una considerazione: di fatto la guerra di Ryad agli sciiti non appartiene al futuro, è già iniziata, anzi perdura da anni.
Una guerra per interposte milizie scatenata in Iraq e Siria. Un conflitto che, nonostante vi siano stati investiti miliardi di dollari, Ryad e i suoi alleati hanno perso, guadagnando alla causa di Teheran l’Iraq e il Libano, prima distanti dall’Iran.
E che ha allontanato dalla monarchia saudita anche Qatar e Turchia, ormai più vicine all’asse sciita che ai sauditi.
Invece di prendere atto dello scacco, Mbs rilancia. Certo, i sauditi possono incendiare ancora una volta la regione, e molto più di prima. Come anche provocare interventi occidentali. Ma l’esito non è affatto scontato: rischiano di perdere di nuovo.
Evidentemente non imparano dagli errori del passato. Dio acceca quelli che vuol perdere.