Gerusalemme: mossa inutile e dannosa
Tempo di lettura: 4 minutiOltre cento feriti ieri in Terra Santa nelle proteste palestinesi contro l’improvvido annuncio del presidente americano Donald Trump. Inizia a montare l’ovvia tempesta provocata dall’iniziativa incendiaria di spostare l’ambasciata Usa a Gerusalemme.
C’è comunque, nonostante tutto, chi prova a cercare un filo nella Tempesta perfetta che sta scatenando. Sul Corriere della Sera dell’8 dicembre, Amos Oz spiega: «Il governo della Repubblica Ceca ha dichiarato poche ore fa che riconosce Gerusalemme Ovest, quella delimitata dalla cosiddetta linea verde che è il vecchio confine precedente la guerra del 1967, come la legittima capitale di Israele
».
«Aggiunge inoltre che, al momento giusto, sarà ben contento di muovere la sua ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme Ovest, come del resto sarà ben disposto ad aprire contemporaneamente una sua ambasciata per la Palestina a Gerusalemme Est. Ecco mi sembra di poter dire che il mio pensiero ben si riflette nella mossa del governo Ceco
».
In una nota precedente avevamo accennato come Putin avesse a suo tempo offerto a Tel Aviv di spostare la sua ambasciata a Gerusalemme Ovest. Offerta che allora fu rifiutata. L’iniziativa della Repubblica Ceca si muove, anche se in maniera indipendente, nel solco di quell’offerta e offre una prospettiva futura per riprendere, semmai si potrà farlo dopo morti e feriti, il filo di un dialogo.
Intanto sulla Repubblica, Federico Rampini riferisce di un reportage del New York Times che spiega come la mossa di Trump sia «un messaggio rivolto ad alcune constituency americane che lo hanno portato alla Casa Bianca. In primo piano figura il magnate dei casinò di Las Vegas, Sheldon Adelson, e il suo amico Morton Klein, che presiede la Zionist Organization of America, un gruppo ultraconservatore filo-israeliano
».
«L’inchiesta del New York Times ricostruisce una serie di incontri e telefonate fra quei due e Trump. Adelson […]. Oltre all’ala destra della comunità ebraica […], c’è il mondo degli evangelici. I fondamentalisti protestanti stravedono per Netanyahu, il loro allineamento con la destra israeliana è totale dai tempi di George W. Bush
».
Rampini accenna a come gli ambiti della destra ebraica americana siano ricchi, ma minoritari rispetto al resto della comunità, che vota per i democratici. Cenno che va tenuto presente.
Come va tenuto in debito conto l’accenno ai fondamentalisti protestanti, che condividono con una certa destra israeliana un messianismo profondo, da ultimi giorni.
Detto questo, se convince la tesi riportata nell’articolo, che vede Trump dover ripagare tali ambiti per il contributo offerto durante campagna elettorale, non convince però l’argomentazione di fondo, che vede il premier israeliano ignaro dei contatti di Adelson e Klein con Trump.
Argomentazione che così evita di addebitare a Netanyahu indebite ingerenze sulla politica americana, rilievi oggi più pericolosi che mai date le accuse delle asserite ingerenze russe sulle presidenziali Usa (vedi alla voce Russiagate).
Non solo non convince perché Adelson è «amico intimo» (citiamo sul punto il Times of Israel) di Netanyahu, ma anche per i legami indissolubili tra la destra israeliana e la constituency guidata da Klein.
Né è un mistero che Netanyahu abbia sponsorizzato in tutti i modi Trump contro la Clinton, dal momento che temeva che la vittoria dell’ex Segretario di Stato avrebbe posto fine alla sua carriera politica, dati i legami antichi tra il clan Clinton ed Ehud Barak, tornato prepotentemente sulla cresta dell’onda (il nuovo leader dei laburisti è un suo pupillo).
Non si tratta di svelare chissà quali misteri, solo mettere le cose al loro posto. Nella tempesta, alimentare confusione non aiuta.
Val la pena accennare a come tanti analisti spiegano la mossa trumpiana anche come un modo per «distogliere l’attenzione dal Russiagate». Ne è ad esempio convinto lo scrittore israeliano Assaf Gavron, interpellato dal Corriere della Sera di oggi, che spiega come di fatto tutto il mondo riconosce Gerusalemme come capitale di Israele (la parte Ovest, ovviamente, specifichiamo).
Dunque quello di Trump «è un riconoscimento inutile», aggiunge, «che interessa soprattutto la destra israeliana [come da nostro cenno ndr.]».
E prosegue: «Trump ha fatto un gesto che non cambia nulla, visto che alla fine non sposterà nemmeno l’ambasciata. E probabilmente l’ha fatto per far dimenticare che non sposta l’ambasciata: una delle sue promesse elettorali. Per molti israeliani, insomma, una situazione bizzarra».
Già, davvero tanto bizzarra. Che costerà sangue, e tanto purtroppo. Per concludere queste note, resta da aggiungere che l’iniziativa del presidente Trump ha avuto un effetto collaterale forse imprevisto: il nodo dei rapporti tra israeliani e palestinesi è stato a lungo il centro nevralgico della criticità globale.
La guerra siriana ha avuto come conseguenza che tale centro per sei anni si è spostato altrove, in Siria appunto, dove si sono giocati in questi anni i destini del Medio oriente, e non solo.
La mossa di Trump ha avuto l’effetto di spostare nuovamente il cuore della conflittualità globale sul nodo antecedente. Un esito forse imprevisto, appunto. Che avrà conseguenze. Ci torneremo.
Ps. Molti media hanno riferito che sia il Ministro della Difesa Usa, James Mattis, che il Segretario di Stato, Rex Tillerson, avrebbero espresso, in privato, le loro riserve alla mossa presidenziale (vedi ad esempio Adnkronos). Conforta sapere che alla guida dell’Impero c’è ancora qualcuno che prova a ragionare.