Siria: Israele cambia strategia
Tempo di lettura: 2 minutiIn un articolo pubblicato su Occhi della Guerra, riprendo l’articolo di Hamos Arel publbicato oggi da Haaretz, che ragguaglia sulle preoccupazioni Israeliane riguardo la sicurezza dei propri confini.
Nel suo articolo, Arel riferisce quanto scritto dall’analista Elizabeth Tsurkov, la quale ha spiegato sul suo blog che decine di ribelli parlano di «un cambiamento significativo nella quantità di aiuti provenienti da Israele».
Sostegno che arriva ad almeno sette «organizzazioni ribelli sunnite nel Golan siriano che stanno ricevendo armi e munizioni da Israele, oltre a denaro per comprare ulteriori armamenti».
Questo cambiamento, scrive Arel, sarebbe conseguenza anche del parziale ritiro americano dallo scenario siriano. «A gennaio, infatti, l’amministrazione Trump ha chiuso il centro operativo Cia di Amman […] che ha coordinato il sostegno alle milizie ribelli del Sud della Siria. Di conseguenza, decine di migliaia di ribelli che avevano ricevuto un regolare aiuto economico dagli Stati Uniti ne sono stati privati».
Insomma, dal libro paga degli Stati Uniti, i cosiddetti ribelli dovrebbero passare al libro paga israeliano. Di per sé non è un grande cambiamento, anche perché Israele ha sempre segretamente sostenuto alcune formazioni jihadiste, anche se non in maniera palese.
Se per quanto riguarda i ribelli cambia ben poco, molto cambia nell’approccio di Tel Aviv al confitto limitrofo. E ciò a causa dell’abbattimento del caccia israeliano avvenuto il 10 febbraio scorso, quando l’aviazione di Tsahal ha fatto l’ennesima sortita sui cieli siriani.
Quel rovescio bellico, del tutto impensabile prima, ha cambiato tutto: se prima Israele poteva colpire direttamente a distanza, senza alcun tema, oggi ciò non gli è più possibile senza correre rischi. Da qui la necessità di cambiare strategia e sostenere più a fondo i ribelli sul terreno.
La guerra siriana diventa sempre più caotica e ingestibile. Il caos e la mancanza di gestibilità ne accrescono i rischi di escalation.
Sul punto, il Times of Israel di oggi riporta le parole del generale Nitzan Alon, uno dei più importanti di Israele, il quale ha affermato che «l’anno 2018 ha il potenziale per l’escalation [del conflitto militare], non necessariamente perché entrambe le parti vogliono iniziarlo, ma a causa di un graduale deterioramento» della situazione.