Beato Angelico, Annunciazione
Tempo di lettura: 2 minutiBeato Angelico dipinse questa Annunciazione nella cella tre del convento fiorentino di San Marco all’inizio di quell’impresa che lo avrebbe portato a riempire ogni stanza dei monaci con un’immagine.
Naturalmente le dimensioni dell’impegno rendono impensabile che ogni intervento sia riferibile direttamente alla sua mano e non anche a quella dei suoi collaboratori, ma l’autografia di questa Annunciazione non è mai stata messa in discussione.
Siamo all’inizio dell’impresa, e quindi Giovanni da Fiesole, detto Beato Angelico, si muove con delicatezza, quasi con un timore di non infrangere l’equilibrio e la sobrietà della cella.
L’angelo e Maria sono due figure leggere, che sembrano volersi assottigliare nello spazio e rendere più defilata possibile la loro presenza. L’unica nota che l’Angelico sottolinea è quella cromatica, ma anche in questo caso prevale l’omogeneità di quel variare armonico dal rosa al rosso, senza accendere contrasti. Sin qui l’affresco. Ma non ci si può limitare a quello.
Perché conta, anzi è decisivo il luogo in cui l’affresco si trova e la sua relazione così intima con lo spazio. La fotografia che vedete non è semplicemente la foto dell’opera del Beato Angelico, ma è la foto del contesto in cui si colloca: fa parte di un ciclo di immagini scattate qualche anno fa da un fotografo canadese, Robert Polidori, e oggi esposte in una mostra a New York.
Grazie a lui, e alla finezza del suo sguardo, possiamo scoprire un fattore decisivo, cioè il legame che s’instaura tra l’immagine e lo spazio dove il monaco viveva e pregava.
La casa di Maria diventa un prolungamento della cella, con una continuità di identità architettonica (guardate lo sviluppo degli archi dentro e fuori l’affresco). La finestra aperta sulla destra origina una luce che è parallela a quella che inonda il porticato nel dipinto. La porta sullo sfondo corrisponde a quella che immette nel corridoio delle celle.
C’è insomma un’analogia spaziale che rende l’Annunciazione un qualcosa che non viene solo contemplato ma che accade dentro quella cella. E di cui il monaco, come il san Pietro Martire (il convento è un convento domenicano), che vediamo nel retro del dipinto, diventa ogni istante un testimone.
L’intimità dell’Annunciazione diventa così un’intimità quotidianamente condivisa, come una grazia leggera che riempie lo spazio e anche il cuore di chi entra in quello spazio. Non un accaduto, ma un qualcosa che accade nell’istante.