Siria: bombe poco intelligenti
Tempo di lettura: 3 minutiIl raid in Siria è avvenuto prima che gli ispettori dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche iniziassero l’inchiesta su quanto accaduto a Douma. Il 12 aprile, infatti, un comunicato ufficiale dell’Agenzia dava la data di sabato 14 come inizio della missione (cliccare qui).
Siria: il pretesto dei gas
Ciò a fronte del fatto che il ministro della Difesa americano James Mattis aveva dichiarato che gli Stati Uniti non avevano prove dell’uso del gas a Douma, motivo dei raid punitivi di Francia, Gran Bretagna e Usa contro Damasco.
Così la missione dell’Agenzia internazionale è stata la prima vittima delle bombe. E la tempistica del bombardamento fa nascere il legittimo sospetto che si sia voluto evitare l’accertamento dei fatti.
La caduta di Ghouta e la vittoria di Assad (e dell’Iran)
La possibile, più che probabile, smentita delle accuse contro Assad non sarebbe stata solo una debacle dei governi occidentali che hanno affermato di avere prove dell’accaduto.
Avrebbe vanificato tutta l’operazione politico-militare occidentale avviata dopo la riconquista di Ghouta da parte del governo siriano.
La riconquista del quartiere di Damasco, infatti, sancisce la vittoria di Assad nella guerra siriana, ma anche dell’Iran nella lunga guerra iniziata con l’intervento militare statunitense in Iraq.
La mezzaluna sciita (l’asse Teheran-Mediterraneo) non è più un’idea, ma realtà. La geopolitica del Medio oriente e globale è cambiata.
Da qui la decisione di un intervento diretto dell’Occidente nel teatro di guerra, necessitato dal fatto che le milizie jihadiste da loro sostenute hanno fallito.
La spinta a proseguire i raid
Per Trump si tratta anche di una questione personale: avendo dichiarato l’intervento, non poteva più tirarsi indietro.
Detto questo, l’attacco è stato molto limitato. L’avvertimento via tweet di Trump sui missili intelligenti in arrivo ha dato a russi e siriani il tempo di limitare i danni.
Ora Gran Bretagna e Francia sembrano frenare. Londra afferma che non cerca il regime-change, Parigi che occorre una soluzione politica.
Ma una guerra si sa quando inizia, non quando finisce. Trump è incalzato dai neocon, che gli chiedono di non ripetere quanto fece lo scorso anno in occasione dell’asserito attacco chimico a Khan Shaikhoun, quando si limitò a un raid dimostrativo.
Come resta il fatto che Il raid di stanotte non altera quegli equilibri che né l’Occidente, né Israele, né i sauditi vogliono accettare.
Un’ulteriore spinta a perseverare nei raid è data dalla tempistica, niente affatto casuale: i neocon vogliono arrivare a maggio, mese in cui sono decisi a stracciare il trattato sul nucleare iraniano, in una situazione in cui Teheran sia sotto pressione.
Siria: per Putin questione esistenziale
Il punto è che anche per Mosca la questione si è fatta esistenziale. Putin ha dato avvio alla missione in Siria per aiutare un alleato ed evitare che il caos mediorientale e il Terrore dilagassero fino ai confini russi. Una missione che gli ha aperto nuovi spazi in Medio oriente.
Ma oggi il presidente russo non sta difendendo solo un alleato o posizioni acquisite.
La politica americana è cambiata: l’amministrazione Trump 2.0, con l’ingresso di Bolton, si è fatta oltremodo aggressiva.
Putin non può cedere a tale aggressività su un punto tanto decisivo. Perché darebbe il destro ai suoi nemici di affermare che essa paga.
Tale atteggiamento verrebbe reiterato, erodendo man mano spazi di manovra alla Russia e il consenso di cui Putin gode presso i suoi concittadini.
Una spinta debilitante volta ad aprire una finestra di opportunità atta a infliggere il colpo decisivo.
La Russia ne risulterebbe incenerita. Stavolta i suoi nemici non farebbero l’errore di limitarsi a mettere su un altro Eltsin, per evitare un altro Putin. Cosa che ben sanno i russi.
I rischi di escalation
Così non basta evitare l’ingaggio diretto Occidente-Russia per scongiurare l’escalation.
Mosca può non rispondere a un raid, due forse, ma se le operazioni dovessero proseguire sarebbe costretta a replicare.
Ad oggi, come accennato, l’azione è stata più che limitata. E non certo per caso: è evidente una spinta frenante in seno all’amministrazione Usa e presso gli alleati.
Né sembra ci sia spazio per un intervento più massiccio, stante le poche forze occidentali dislocate in loco e la presenza di militari Usa in Siria, che rischiano di essere inceneriti da eventuali repliche.
Ma l’imprevedibilità dei conflitti fa sì che essi hanno il vizio di presentare variabili fuori registro, con implicazioni altrettanto fuori registro.
Urge attutire le tensione e ritornare al tavolo delle trattative per dirimere questioni che non possono essere risolte con ingiustificabili, inani, nefaste e pericolose esibizioni muscolari.