La strage di Toronto
Tempo di lettura: 3 minutiNove i morti della strage di Toronto. Non sembra un incidente. “Li centrava uno a uno”, dice una donna, raccontando la mattanza del van assassino, che ha rievocato, con il suo sanguinario vagare, la terribile strage di Nizza. Insomma, pare terrorismo.
Terrore solito e insolito
Ma insolito. Non perché l’assassino non si è immolato per la causa, dal momento che tale scarto dal verbo dell’Isis ha precedenti in altri attentati. Il problema è che l’uomo pare sia un armeno. E forse nemmeno islamico. Almeno i giornali non ne accennano.
Ma magari si scoprirà che si è radicalizzato d’improvviso: si troveranno i suoi ultimi post su facebook inneggianti all’Isis o messaggi simili.
È capitato spesso in questi anni di autori di attentati di cui si è scoperta una radicalizzazione improvvisa. Anzi, tali improvvisati assassini rappresentano una percentuale altissima rispetto a quanti, radicalizzati incalliti (che pure son legione), attuano azioni similari.
E sono spesso figure insospettabili. Gente che fino al giorno prima faceva tutto quel che a un fanatico islamico è negato.
Ma magari l’assassino di Toronto non appartiene a tale categoria. Né l’Isis ha rivendicato tramite il sito specializzato nello scovare rivendicazioni in rete, il Site.
In passato hanno fatto la comparsa anche categorie diverse, come quella del lupo solitario e/o del nazi-suprematista. Vedremo a quale di queste categorie verrà ascritto il terrorista armeno o se ne nascerà una nuova.
Per inciso, proprio ieri si è dimesso il primo ministro armeno, caduto sotto i colpi di una protesta di piazza contro il leader filo-russo Serzh Sargsyan, accusato di aver subdolamente aggirato la volontà popolare ascrivendosi un potere illegittimo (sul punto vedi Bloomberg: “Armenia’s Peaceful Revolution Is a Lesson for Putin“, ovvero “La pacifica rivoluzione armena è una lezione per Putin”). Non c’entra, ma non sembra vano segnalare la coincidenza temporale.
La strage di Toronto e il G7
A Toronto in questi giorni si tiene il G7, al quale partecipano i sette ministri degli Esteri dei Paesi più industrializzati dell’Occidente. Tanti i temi sul tappeto. Tutti secondari rispetto al Tema con la T maiuscola, quello sul quale si decidono i destini del mondo: il trattato sul nucleare stipulato con Teheran da Cina, Russia, Germania, Francia e Stati Uniti.
Un Tema che peraltro incombe, stante che a maggio Trump deve decidere se revocare o meno quel trattato. Finora l’ha conservato, nonostante i fervorini infuocati contro l’Iran. Uno schema solito per il presidente Usa, che abbaia ma non morde.
Ma ormai si è caricato nell’amministrazione John Bolton, affidandogli la carica di consigliere alla sicurezza nazionale, e la revoca del trattato incombe (i neocon, di cui Bolton è esponente di spicco, ne sono acerrimi avversari).
Ieri, al G7 si è parlato del Tema, appunto. E Germania, Francia e Gran Bretagna hanno concordato di tentare di convincere Trump a non annullarlo.
Cosa che sembra stia facendo Macron, che in questi giorni è negli Usa. E che pare farà anche la Merkel nell’incontro con il presidente Usa, previsto a breve (su queste circostanze vedi l’agenzia Reuters).
La controversia sul Tema, data la sua alta drammaticità, ha tutte le caratteristiche di un catalizzatore di sciagure, punto focale di forze centrifughe che le attirano. Si tenga conto che la revoca del trattato sul nucleare di Teheran avvierà, al contrario, una spinta centripeta, foriera di ondate di destabilizzazione globale.
Il Terrore vorrà entrare di prepotenza, e a suo modo, nel dibattito sul Tema. Ché la destabilizzazione lo rafforza. Ma ad oggi non si può stabilire un nesso di causalità tra la strage di Toronto e quanto accadeva nel chiuso del vertice. Solo casualità.
Per il resto, occorrerà attendere il 12 maggio, quando Trump sarà chiamato a prendere una decisione sul Tema. A ciascun giorno basta la sua pena, si legge nel vangelo. Si spera che le pene dei giorni che ci separano dal fatidico 12 non siano eccessive.