Siria: cade Daraa, il regime-change è fallito
Tempo di lettura: 3 minutiL’esercito siriano riprende il controllo dell’intera città di Daraa, dove fu innescata la miccia del regime-change siriano. Conquista simbolica, dunque, che si aggiunge a quella meno simbolica ma più importante della riconquista del confine con la Giordania (vedi Piccolenote).
Dopo Daraa, l’area del Golan
Ormai per completare l’operazione volta a riprendere il controllo del Sud mancano solo le aree a ridosso del Golan: da vedere se e come Israele lascerà fare o se si opporrà, e come, a tale sviluppo.
Ad oggi è da escludere un conflitto aperto con Damasco. Tel Aviv guarda altrove: la sua attenzione è calamitata dalla presenza iraniana in Siria, il cui ritiro totale è stato chiesto ancora una volta da Netanyahu a Putin, che ha incontrato l’11 luglio.
Ieri aerei non identificati hanno bombardato Al-Bukamal, al confine tra Iraq e Siria, uccidendo 35 persone e ferendone altre 50. Si tratta di miliziani sciiti, iracheni e siriani.
Proprio in questo luogo, sostiene Giordano Stabile sulla Stampa, alcuni giorni fa si erano dati convegno “l’ambasciatore iracheno in Siria e il presidente del parlamento siriano, assieme a sceicchi locali, per lanciare l’effettiva apertura del valico di frontiera, ancora chiuso al traffico commerciale a otto mesi dalla liberazione dall’Isis”.
Più che probabile che il bombardamento sia stato dunque effettuato da jet israeliani (come fa intendere anche Stabile), che usano non qualificarsi, per lanciare un segnale esplicito riguardo l’eventuale riapertura completa della frontiera siro-irachena.
Sul punto c’è il niet di Tel Aviv, dal momento che, data la presenza iraniana in Siria, tale iniziativa aprirebbe a Teheran la via del Mediterraneo. Prospettiva che angoscia i leader politici e militari israeliani.
Assad può restare
Tanti i giornali che si chiedono se al summit del 16 luglio Putin e Trump, che certo parleranno anche della Siria, troveranno un qualche accordo sulla guerra. In realtà è impossibile che il vertice sciolga un nodo tanto delicato, ma certo avrà un peso.
E se certo l’offensiva dei siriani di questi giorni ha trovato il placet Usa (e non solo), come accennato in altra nota, è stato proprio in vista di questo incontro, al quale i due presidenti vogliono arrivare con le criticità siriane un po’ attutite. Aiuterà la riuscita del summit.
Tanti i negoziati sulla Siria che stanno correndo sottotraccia: i russi restano fermi alla loro proposta di distanziare gli iraniani dai confini israeliani. Troppo poco per Tel Aviv, come accennato sopra, ma vedremo.
Al di là delle tante controversie, va però sottolineato che ormai la posizione di Assad è più che consolidata: il regime-change è fallito e sia Israele che i neocon, i maggiori fautori di tale progetto, si sono ormai rassegnati alla sua permanenza al potere.
“Il primo ministro Benjamin Netanyahu – scrive infatti Yediot Ahronot in riferimento al summit tra Putin e Netanyahu – ha detto alla Russia che Israele non cercherà di rovesciare il suo alleato, il presidente siriano Bashar Assad, ma Mosca deve far pressioni sulle forze iraniane perché lascino la Siria”.
Timesofisrael riferisce quanto dichiarato dal neocon John Bolton alla Cbs alcuni giorni fa: per il Consigliere per la Sicurezza nazionale degli Stati Uniti “è l’Iran, non Assad, il ‘problema strategico’”.
Era evidente da tempo che il regime-change siriano era fallito. Ma l’ammissione esplicita da parte dei suoi più accesi fautori è comunque una svolta, ancora più significativa della riconquista di Daraa.
Se si pensa a come la richiesta di un suo allontanamento dal potere sia stata agitata per anni come unica, imprescindibile opzione per una trattativa sul futuro siriano, si comprende quale sia lo smacco subito dai suoi irriducibili avversari.