Siria: la convergenza tra curdi e Assad
Tempo di lettura: 3 minutiDopo tanta guerra, iniziano negoziati ufficiali tra i curdi siriani per una soluzione politica al lungo conflitto. Una delegazione del Consiglio democratico curdo è giunta a Damasco per trattare (al Monitor).
La svolta dei curdi
Un passo importante, stante che il Partito democratico e il partito comunista curdi (Pyd e Pkk) da tempo sono alleati degli Stati Uniti.
Le loro milizie hanno costituito l’asse portante delle Sdf, le forze democratiche siriane, pedine importanti della complessa guerra siriana.
Tali forze controllano le regioni settentrionali della Siria, ovvero il 22% del Paese. L’area dove, non a caso, sono presenti le basi americane.
Assad ha più volte tentato la via della trattativa con i curdi siriani, i quali hanno partecipato alla guerra siriana con un proprio obiettivo: la creazione del Rojava, l’unione dei tre cantoni siriani a maggioranza curda in un’unica confederazione indipendente da Damasco.
Un obiettivo non condiviso da Damasco, che però ha offerto loro una confederazione nella quale il Rojava avrebbe larga autonomia (vedi Piccolenote).
Offerte sempre snobbate, anche quando i siriani si erano proposti di difenderli dai turchi, che sconfinando hanno attaccato, e preso, parte del cantone curdo di Afrin. Un attacco giustificato da Erdogan come un’operazione anti-terrorismo, dato che il Pkk e il Pyd sono sulla lista nera del presidente turco.
L’arrivo della delegazione curda a Damasco indica che qualcosa è cambiato. Ed è evidente che non si tratta solo di un cambiamento locale. Il passo sembra celare intese più alte, tra Russia e Stati Uniti. Particolare di interesse notevole in vista della risoluzione del conflitto siriano.
La convergenza precede un ulteriore sviluppo della guerra siriana. Damasco sta ormai portando a compimento la riconquista del Sud, sgretolando le ultime difese dell’Isis che lo hanno controllato finora.
Per tornare ai confini precedenti alla guerra, che Assad è determinato a ristabilire, manca all’appello Idlib, regione del Nord-Ovest.
Un’area sotto tutela turca, che la controlla tramite i miliziani di al Nusra (al Qaeda). Come sotto diretta tutela turca resta Afrin, che i curdi vogliono riprendersi.
Il nodo Erdogan
Così i colloqui tra le autorità di Damasco e i curdi non hanno solo una valenza politica, ma anche militare. Probabile servano a mettere a punto un’alleanza per eliminare l’influenza turca dalla Siria (vedi Matteo Carnieletto su il Giornale).
Da vedere come reagirà Erdogan, che, sebbene abbia un’alleanza strategica con Putin, resta irriducibile avversario di Assad.
Tanto che alcuni giorni fa ha minacciato di stracciare l’alleanza con Mosca in caso di un’offensiva su Idlib (Haaretz), che vedrebbe i russi ovviamente alleati con i siriani.
Ma le minacce contano poco in questa guerra dove ne son volate tante e tante sono state disattese. Ed Erdogan non può permettersi lo scontro frontale con Mosca.
Tanto che prima di partire per Johannesburg, dove si sta svolgendo il vertice dei Paesi in via di sviluppo (Brics), ha detto che avrebbe parlato con Putin, anch’egli presente al summit, della questione (Ansa). Vedremo se lo zar tirerà fuori dal cilindro qualche compromesso.
Una simpatica coincidenza fa sì che proprio in questi giorni Trump abbia intrapreso una campagna contro il presidente turco.
Oggetto della contesa è la sorte del pastore protestante americano Andrew Brunson, arrestato (ora ai domiciliari) con l’accusa di aver partecipato al fallito colpo di Stato in Turchia del luglio del 2016.
Il presidente degli Stati Uniti ne chiede la liberazione, incontrando la decisa resistenza del sultano. Da qui la minaccia di Trump di imporre “vaste sanzioni” contro la Turchia in caso perseverasse nell’atteggiamento.
Erdogan è sotto duplice pressione. Potrebbe convincersi a venire a più miti consigli sulla Siria, dato che non può sostenere un fuoco incrociato. Ma vedremo. Tante le incognite.