Khashoggi, la Cia e le intercettazioni turche
Tempo di lettura: 3 minutiInsostenibile. La spiegazione dell’omicidio di Jamal Khashoggi fornita finora dall’Arabia Saudita era semplicemente insostenibile.
Riad ha a lungo negato che il giornalista del Washington Post, critico nei confronti del nuovo corso saudita del principe ereditario Mohamed bin Salman, fosse stato ucciso nel consolato saudita di Istanbul, come da accuse internazionali.
Ma negli ultimi giorni aveva cambiato versione e ammesso che sì, è stato ucciso, ma accidentalmente, nel corso di una colluttazione con alcuni uomini dei servizi segreti sauditi avvenuta nella sede diplomatica.
Una ricostruzione impossibile. Come sottolineato da tanti media del mondo, che additano bin Salman come mandante di un assassinio politico.
Khashoggi: omicidio premeditato
Così, due giorni fa, è arrivata la nuova versione saudita: l’omicidio è stato “premeditato”, ma Mohamed bin Salman non c’entra nulla.
La nuova inversione di marcia di Riad può forse essere spiegata da due titoli che il Washington Post ha dedicato ieri alla vicenda e che sono rimasti per tutta la giornata sulla sua pagina web come notizie principali.
Il primo: “L’Arabia Saudita, nell’ultimo capovolgimento, ammette che l’uccisione di Khashoggi è stata premeditata”.
Il secondo, sotto: “Il direttore della CIA sembra che abbia ascoltato le registrazioni audio dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi”.
I nastri di istanbul
Quest’ultimo articolo è scritto in base a una fonte confidenziale prossima a Gina Haspel, direttrice della Cia.
La Haspel si era precipitata a Istanbul subito dopo le dichiarazioni rese tre giorni fa dal presidente turco Recep Erdogan, che, oltre ad accusare Riad, aveva accennato alle responsabilità di altri Paesi nell’affaire.
Un’accusa indeterminata alla quale le autorità iraniane hanno voluto dare una loro personale interpretazione: senza l’aiuto degli Stati Uniti, i sauditi non avrebbero potuto portare a compimento l’omicidio.
Non sappiamo se l’accusa sia vera, ma è davvero difficile immaginare che gli Usa ignorassero quanto stava accadendo, dati gli stretti rapporti tra l’intelligence dei due Paesi e la prossimità del genero di Trump, Jared Kushner, al principe.
Certo è che il cenno di Erdogan deve aver allarmato qualcuno dalle parti di Washington. Da cui il precipitoso viaggio della Haspel nella capitale turca.
Non sappiamo se tale viaggio sia servito o meno a coprire eventuali responsabilità americane, che avevamo ipotizzato nella nota dedicata alle dimissioni della Halley.
Di certo, Erdogan ha fatto ascoltare finalmente le intercettazioni sull’omicidio del giornalista in possesso delle autorità turche.
E quanto ascoltato dalla Haspel deve aver convinto gli Stati Uniti che era impossibile sostenere la ricostruzione dei sauditi sull’omicidio accidentale.
Da qui l’inversione di marcia di Ryad, forse suggerita da Washington. D’altronde l’Arabia Saudita può uscire da questo scandalo, e forse salvare la sorte del principe ereditario, solo con il sostegno degli Stati Uniti.
La nuova versione saudita
Occorreva fornire una ricostruzione che, pur negando il coinvolgimento del principe, non fosse in contrasto con gli elementi inconfutabili in mano alle autorità turche e fissate sui nastri in loro possesso.
Da qui la nuova narrazione dell’omicidio “premeditato”, ma non dal principe. Gli ambiti neocon, che affollano la politica e gli apparati Usa, stanno facendo di tutto per salvare bin Salman.
Ma lo scontro è arduo, data la determinazione dei colleghi di Khashoggi del Washington Post, che hanno il sostegno dell’opinione pubblica americana e degli ambiti politici non affiliati a neocon e liberal.
Uno scontro che non accenna a scemare. Ieri un editoriale del WP dal titolo più che significativo: “I soldi dei sauditi lasciano spazio a un dibattito onesto?”
Non sarà tanto facile riavvolgere il nastro e salvare la capra, ovvero il principe, e i cavoli, ovvero gli interessi americani in Medio oriente.
Peraltro, due giorni fa un articolo di Ilnur Cevik, il più stretto consigliere di Erdogan, scriveva su un giornale turco: “Comunque vada, d’ora in poi il principe ereditario sarà considerato come l’uomo che ha le mani sporche del sangue di Khashoggi”.
Considerazione tombale.
Ps. Lo scandalo Khashoggi ha posto sotto i riflettori la guerra in Yemen e i crimini che i sauditi stanno commettendo in tale conflitto. Oggi un bell’articolo del New York Times sul tema, presentato da un’immagine agghiacciante.
Finora tali crimini sono stati ignorati dalla grande stampa, salvo eccezioni che confermavano la regola. L’Arabia Saudita era parte del fronte dei valorosi difensori della libertà.
Era, infatti, la prima linea del fronte di contrasto contro Teheran e Damasco, il che le assegnava automaticamente un salvacondotto per tutte le nefandezze che commetteva in Yemen. Forse, e sottolineamo il forse, non è più così. E questa sporca guerra, forse, potrà finalmente aver termine. Forse.
Nella foto, bambini yemeniti.