La Ue stretta tra Roma e Brexit
Tempo di lettura: 3 minutiUn compromesso con la Gran Bretagna, l’avvio di una fase di compromesso con l’Italia: un uno-due avvenuto quasi in contemporanea, che appare una sorta di svolta per l’Unione europea.
L’Italia e la Brexit
Si tratta di due avvenimenti apparentemente di segno opposto: la riuscita del negoziato sulla Brexit appare una prova di forza, mentre l’apertura a Roma può apparire un segno di debolezza di Bruxelles.
In realtà i due avvenimenti si rimandano a vicenda: Bruxelles non poteva permettersi (neanche come vaga ipotesi) la cosiddetta Italexit proprio nel momento in cui trattava la Brexit. Sarebbe suonato come un segnale di libera uscita, decretando la fine della Ue.
E hanno un tratto comune: la Ue sembra aver riposto, almeno per il momento, le rigidità del passato per accedere a una logica di compromesso.
Una logica opposta al Credo al quale finora era consegnata, fondato sull’irrevocabile principio che Bruxelles detta Regole alle quali i suoi interlocutori sono chiamati ad adeguarsi.
Una novità che potrebbe restituire alla Ue il dinamismo perduto. Non solo al suo interno, ma anche nel mondo, dato che il Rigore (vedi rigor mortis) l’ha ridotta ad attore marginale del proscenio globale.
Bloccata da un dogmatismo irriducibile, infatti, essa ha perso la capacità di interloquire col mondo. Cosa che la nuova predisposizione, se duratura, può mutare.
L’Unione e la Brexit
Ma al di là di queste osservazioni, appare interessante un articolo di Sergio Romano pubblicato due giorni fa sul Corriere della Sera.
Per Romano fu un’illusione quella di immaginare l’adesione di Londra alla Ue come una “conversione” dal pregresso isolazionismo.
Essa, infatti, era necessitata dai vantaggi del mercato unico, ma non comportava affatto la rinuncia a quello che “Winston Churchill aveva definito il ‘Gran Largo’ delle sue ambizioni mondiali”, troppo spesso in contrasto quelle del Vecchio Continente.
Non solo, Londra riteneva, e non a torto, che nella Ue avrebbe ottenuto privilegi rispetto ad altri membri della Ue, potendo guadagnarsi “trattamenti speciali” negati ad altri.
Ma soprattutto che, dall’interno, avrebbe “rallentato il processo d’integrazione per gli altri”.
Decisivo, in tal senso, l’allargamento della Ue a Est, chiesta espressamente da Londra. Un processo che “ha annacquato il buon vino dell’Europa Federale”.
Così, per Romano, la Brexit non segna affatto l’inizio della fine dell’Unione europea, come paventano alcuni analisti convinti che altri Paesi seguiranno le orme di Londra.
Semmai la Brexit “elimina un ostacolo alla unificazione” dell’Europa, avendo essa rescisso i legami con un Paese che ne ha sempre ostacolato l’integrazione.
Anzi, per Romano le trattative sulla Brexit hanno “avuto il merito di indurre i negoziatori di Bruxelles a meglio precisare quali siano le regole irrinunciabili dell’Unione. Se qualche altro Paese, fra quelli ammessi nel 2004, desidera imitare il suo esempio, tanto meglio”.
Sulla retorica europeista
Considerazioni che potrebbero apparire ciniche, dal momento che contrastano l’afflato europeistico imperversato negli ultimi anni.
Non solo artificio retorico, ma anche grimaldello politico-militare, dal momento che esso è stato brandito in funzione anti-russa dai Paesi dell’Est (esemplare in tal senso il caso Ucraina).
Sotto questo profilo, l’allargamento dell’Unione a Est non è servita solo, come spiega Romano, a renderla ingestibile, ma anche a erodere spazio politico a Mosca.
Da qui lo snaturamento del modello comunitario del padri fondatori, che avevano immaginato la Ue come ponte naturale tra Est e Ovest. Ruolo che peraltro gli avrebbe guadagnato un posto centrale nella geopolitica globale.
Invece, proponendosi come alternativa oppositiva all’Est e schiacciandosi sull’Atlantico, l’Unione non solo ha perso la sua funzione di ponte, ma ha perso anche di importanza, stante che la politica estera europea è rimasta, nelle sue linee guida, ancillare a Washington.