Arresto di Meng Wanzhou: bomba sulla distensione Cina-Usa
Tempo di lettura: 3 minutiL’arresto di Meng Wanzhou ha l’effetto di una bomba sui rapporti Cina – Stati Uniti, proprio mentre sembravano virare verso la distensione.
La donna, fermata a Vancouver su richiesta della magistratura americana, è un alto funzionario della Huawei Technologies, il colosso cinese delle comunicazioni.
Ma soprattutto è la figlia del fondatore del colosso in questione, tanto da esser definita “Princess Huawei“.
Da qui anche il rilievo assunto dalla vicenda, tanto che a chiederne l’immediata scarcerazione, in una conferenza stampa ad hoc, è stato il ministro degli Esteri del Dragone.
Vedremo se le pressioni cinesi avranno la meglio su quelle dei magistrati americani (per ora vincenti), che chiedono l’estradizione della donna.
Interessante scorrere l’articolo di Daisuke Wakabayashi Alan Rappeport che apre il New York Times e riassume un po’ la vicenda, almeno quel che si sa finora.
Anzitutto, più che sospetta appare la tempistica dell’operazione. Così il NYT: “L’arresto di Meng Wanzhou […] è avvenuto nella stessa notte in cui il presidente Trump e il presidente Xi Jinping della Cina stavano cenando insieme a Buenos Aires e concordando una tregua commerciale di 90 giorni”.
Storia nota: la tregua chiudeva l’escalation commerciale di Trump che ha colpito l’export cinese negli Usa alzando a livelli critici la tensione tra i due Paesi.
Ma a rendere ancor più palese la strumentalità dell’iniziativa giudiziaria il mistero sulle imputazioni che hanno portato all’arresto della principessa.
La magistratura di New York non ha rilasciato commenti e il NYT scrive di “accuse non specificate“.
Nemmeno le autorità canadesi hanno chiarito le accuse ascritte alla Wanzhou, spiegando che sarebbe stata la stessa imputata a chiedere la riservatezza.
Spiegazione che stride con il comunicato ufficiale della Huawei, che chiede invece siano rese pubbliche le motivazioni dell’iniziativa giudiziaria.
Interessante, nell’articolo del NYT, l’insistenza su possibili moventi della magistratura americana: la Priincess avrebbe violato le disposizioni riguardo le sanzioni contro l’Iran.
Bizzarro, perché il regime sanzionatorio emanato da Trump, come ricorda anche il giornale americano, esenta la Cina per sei mesi dall’adesione al diktat Usa…
Ma al di là dell’esenzione: se davvero gli Stati Uniti iniziano a perseguire tutte le società e i Paesi che non aderiscono alle sanzioni contro l’Iran, occorrerà costruire penitenziari su tutto il territorio americano, dal momento che mezzo mondo si è dissociato dall’improvvida iniziativa statunitense.
Se si tratta di un’azione intimidatoria in tal senso, è altamente rischiosa: può produrre reazioni a catena e provocare nuovi conflitti. Ma, al di là della follia sanzionatoria, appare chiaro che l’articolo del NYT, sul punto, si muove sul campo delle ipotesi.
E la necessità di muoversi per ipotesi non fa che accrescere il mistero e quindi il sospetto di una mossa del tutto strumentale. Anche, e soprattutto, contro il presidente americano, al quale evidentemente è stato fatto uno sgambetto.
Cosa che evidentemente è chiara anche a Pechino, che resta incerta sul da farsi: alzare troppo il livello dello scontro rischia di mandare a monte il risultato della fatidica cena di Buenos Aires.
A fotografare tale incertezza (e quindi la volontà di trovare una soluzione alla vicenda) è l’Agenzia di stampa Xinhua, organo ufficiale di Pechino, che, almeno fino al momento della stesura della nostra nota, non riporta affatto la notizia.
Certo, domani è un altro giorno, ma è evidente che si stanno cercando strade per uscire da questo vicolo cieco.
È ovvio che la magistratura americana prima o poi dovrà rendere pubblici i motivi del mandato d’arresto, veri o artificiosi che siano. E la lotta a quel punto sarà più aperta e quindi più a rischio escalation.
Trump evidentemente non ha fortuna con la magistratura: l’inchiesta sul Russiagate si frappone a un rapporto meno teso con Mosca; quella sulla principessa cinese a un riavvicinamento con Pechino.
Una iattura per Trump e per il mondo intero, che certo trarrebbe vantaggio da una riduzione della conflittualità globale. Summum ius, summa iniuria (il sommo diritto è somma ingiustizia), detto latino che oggi suona maledettamente attuale.