Haass: quando finisce un ordine mondiale
Tempo di lettura: 3 minutiCi sono articoli di cronaca e di analisi, poi ci sono quelli di storia o, per meglio dire, che fanno la storia, come il recente scritto di Richard Haass, presidente del Council on Foreign Relations.
“Come finisce un ordine mondiale“, infatti, appartiene alla storia, perché il presidente del più influente organismo di potere del mondo afferma che l’ordine mondiale del “post-dopoguerra e post-Guerra Fredda” è finito.
E perché nasca un nuovo ordine, spiega, occorre prima riconoscere “che il vecchio ordine non tornerà più e che gli sforzi per resuscitarlo sono destinati al fallimento”.
Quella di Haass non è solo una lucida registrazione, ma anche un monito a quanti, potenti, non si rassegnano e credono possibile un ritorno al vecchio regime e alla loro perduta leadership globale.
Haass e il Congresso di Vienna
Haass ricorda come, dopo le guerre napoleoniche che devastarono l’Europa, al Congresso di Vienna prese forma il Concerto d’Europa perché quella catastrofe non si ripetesse.
Era il 1815 e quell’intesa stabilì un sistema di regole che garantì una relativa pace per un secolo. Fino a quando, cioè, nel 1915, la Grande Guerra ne decretò la fine.
Una catastrofe annunciata, secondo Haass. La prima crepa di quel sistema si ebbe con la guerra in Crimea, quando la Russia attaccò l’Impero Ottomano per difendere i cristiani minacciati, scontrandosi con Francia e Gran Bretagna (e Italia), che si allearono con Istanbul.
In realtà fu una guerra per il controllo dei territori di un Impero ormai in disfacimento, ma la sua rilevanza sta nel fatto che tre delle potenze che avevano aderito al Concerto d’Europa (Mosca, Parigi e Londra) si scontrarono tra loro.
La crepa aprì le porte al “ritorno della guerra nel cuore dell’Europa”, quella tra Prussia e Austria e quella franco-prussiana, avvisaglie della catastrofe imminente, la Grande Guerra.
Dalla Crimea alla Crimea
Come la guerra in Crimea segnò l’inizio della fine di un ordine, la nuova crisi in Crimea (annessione alla Russia) ha decretato la fine di un altro ordine globale, quello del dopoguerra.
È necessario che i leader del mondo prendano atto del cambiamento. Da questo punto di vista, “il lungo deterioramento del Concerto d’Europa dovrebbe servire da lezione e monito”, per evitare che la crisi irreversibile del vecchio ordine precipiti il mondo in una nuova catastrofe.
Finito il vecchio ordine, si tratta di crearne uno nuovo, evitando la tentazione di “resuscitare” quello perduto.
In questa prospettiva, gli Stati Uniti non dovrebbero “rinunciare a cercare di integrare Cina e Russia in aspetti regionali e globali di tale ordine. Tali sforzi implicheranno necessariamente un mix di compromessi, incentivi e reazioni”.
Si tratta dunque di costruire un nuovo ordine globale concordato tra Washington, Pechino e Mosca, che però veda gli Stati Uniti cambiare la loro politica estera.
Washington, scrive Haass, dovrà tornare a esser percepito come un “attore benevolo” della scena globale, evitando di “invadere improvvidamente” altri Paesi, come avvenuto per Iraq e Libia.
Non solo, anche la sua politica economica dovrebbe temperare l’odierna aggressività ed evitare “l’eccessivo uso di sanzioni e dazi”.
L’incerto futuro
“Il deterioramento di un ordine mondiale – conclude Haass – può dar vita a derive che portano a catastrofi. La prima guerra mondiale è scoppiata circa 60 anni dopo” la crisi del Concerto d’Europa avvenuta in Crimea.
La situazione odierna ricorda quella della metà del diciannovesimo secolo: un mondo a rischio, ma non condannato.
“L’ordine post-Guerra mondiale e post-Guerra fredda non può essere ripristinato, ma il mondo non è ancora sull’orlo di una crisi sistemica”, scrive infatti Haass.
Questo è il momento “per assicurarsi” che tale nefasta prospettiva non si realizzi, sia “che si tratti di un crollo delle relazioni USA-Cina o di uno scontro con la Russia o di un conflitto di grandi proporzioni in Medio Oriente“.
“La buona notizia è che la prospettiva di una catastrofe è tutt’altro che inevitabile”; la cattiva è che non è affatto certo che si possa scongiurare.
Per evitare il peggio è necessaria, dunque, una qualche intesa tra Russia, Cina e Stati Uniti. Un monito intelligente e serio che, data la tribuna dal quale proviene, alimenta speranze sulla possibilità di successo di tali convergenze.