La lettera bomba di Mattis
Tempo di lettura: 3 minutiJames Mattis dà le dimissioni da ministro della Difesa, in disaccordo con il ritiro delle forze americane dalla Siria deciso da Trump.
Le dimissioni di Mattis
Rottura imprevista, dato il forte legame tra i due: era l’ultimo rappresentante autorevole della squadra originaria di Trump, che sembra essere rimasto solo, in balia di se stesso e degli avversi flutti, date le forti critiche alla decisione, peraltro già annunciata da tempo e mai messa in pratica per il contrasto neocon.
Ma è impossibile che il presidente degli Stati Uniti abbia preso una decisione così dirompente senza avere le spalle coperte. Vedremo se basterà a salvargli la pelle.
Mattis finora ha rappresentato l’ala più lucida dell’amministrazione: avulso dalle follie neocon e mitigatore dell’imprevedibilità trumpiana. Se ne va consegnando a una lettera le sue motivazioni.
“Mentre gli Stati Uniti restano la nazione indispensabile nel mondo libero – scrive -, non possiamo proteggere i nostri interessi o adempiere in maniera adeguata tale ruolo senza mantenere forti alleanze e dimostrare rispetto per gli alleati”.
Insomma, il ritiro dalla Siria, per il ministro della Difesa, è un tradimento degli alleati. Si riferisce a Israele, dove tale accusa è mossa implicitamente o esplicitamente dai tanti che lamentano l’abbandono di Tel Aviv al suo destino, con il Medio oriente consegnato a Russia e Iran.
Mosca ha provato a gettare acqua sul fuoco, inviando a Tel Aviv una delegazione di alto profilo, la prima dopo l’abbattimento di un aereo russo sui cieli siriani che ha gelato i rapporti tra i due Paesi.
Ma è davvero difficile si trovino soluzioni a breve e i rischi di incidenti sono alti, stante il nervosismo israeliano.
Trump – Mattis: chi ha tradito?
Ma torniamo alle lettera di Mattis e al cenno che vede gli Stati Uniti come nazione “indispensabile”. Annotazione che evidenzia certa follia ideologica sottesa alla politica estera americana.
Ci torneremo, se ne accenniamo in questa sede, è solo per rilevare che Mattis, pur essendo convinto di tale indispensabilità Usa al mondo, l’ha declinata in maniera più realistica di altri, rifiutando la prospettiva degli Usa come “poliziotto del mondo”.
Lo ripete nella missiva, indicando la sua concordanza sul punto con Trump, il quale gli ha risposto via tweet domandando se gli Stati Uniti siano diventati “i poliziotti del Medio oriente”. Risposta puntuale: Trump accusa Mattis di aver tradito la comune prospettiva.
In effetti, la lettera di Mattis stride con il ruolo stabilizzante che ha ricoperto finora: è un vero e proprio atto di accusa contro Trump, di portata destabilizzante.
Peraltro la missiva appare allineata alle prospettive neocon, come evidenzia il cenno all’influenza “malvagia” di Cina e Russia nel mondo.
Certo, un generale Usa non può che essere abitato da antagonismo rispetto a Russia e Cina. Ma il cenno sulla malvagità intrinseca di tali Paesi ha un rimando esoterico estraneo alla dialettica politica e al confronto militare.
Insomma, nella lettera c’è un Mattis diverso, che appare voce narrante di un copione scritto da altri.
Magari da Bolton, l’alfiere neocon che tace e resta sulla barca dell’amministrazione per tentare di ri-orientarla, lasciando al dimissionario il compito di silurarla.
Quel Bolton che una settimana fa il ministro degli Esteri russo Lavrov indicava come vero artefice della politica estera americana.
Osservazione vera, alla quale il disimpegno di Trump dal Medio oriente, che attutisce il confronto globale in cui sono precipitate le due potenze, sembra sia una risposta indiretta, in un gioco di rimandi e concordanze implicite.
Mattis poteva seguire il presidente, ma sembra aver preferito le sirene neocon. D’altronde quando Bolton s’imbarcò nell’amministrazione in qualità di Consigliere alla sicurezza nazionale, Mattis lo salutò così: “Ho sentito dire che sei l’incarnazione del diavolo e non vedevo l’ora di conoscerti“.
Saluto che oggi appare profetico.
Ps. Di questi giorni anche l’annuncio di un ritiro di parte rilevante del contingente Usa stanziato in Afghanistan. Trump fa sul serio. E rischia.