Caos Brexit: se gli inglesi votassero alle europee?
Tempo di lettura: 3 minutiIn settimana il Parlamento inglese ha votato “no” a una Brexit senza accordo. Quindi l’intesa con la Ue si deve trovare o Londra resterà nell’Unione. Forse, perché nel caos britannico nulla è certo e la votazione in questione ha solo una valenza politica, pur forte.
L’unica cosa certa finora è che l’ennesimo accordo faticosamente negoziato dalla May con Bruxelles è stato respinto al mittente e tutto è tornato in sospeso.
E come una mannaia incombe il 29 marzo, quando Londra dovrebbe abbandonare l’Unione europea.
I duellanti
Data stabilita ma condizionale d’obbligo dato che, avendo bocciato una separazione senza accordo, o la May ne trova un altro e lo fa approvare in Parlamento o… non si capisce nulla, tanto confuso è il caos britannico.
Difficile che in due settimane si trovi un’intesa che possa essere approvata da un’assemblea legislativa tanto divisa. Lo indica il fatto che la May sta lavorando a un rinvio della data in cui il Paese lascerà la Ue.
Caos totale, dato che la politica è divisa tra conservatori che, come la May, spingono per un Leave negoziato, e conservatori brexiteer duri e puri, che vogliono troncare ogni rapporto con il Continente per rilanciare il ruolo globale della Gran Bretagna tramite l’anglosfera (Paesi di cultura e lingua inglese).
Dall’altra parte Jeremy Corbyn e i suoi laburisti vorrebbero una Brexit negoziata, ma in altro modo. La quadra sarebbe facile se la May si accordasse con lui, dal momento che ci sarebbero i voti per far passare un’intesa concordata tra i due maggiori partiti britannici.
Ma pare sia impossibile data la distanza che divide i due esponenti politici, complicata dalla resistenza interna al partito che la May incontrerebbe sulla via di un compromesso con i laburisti.
A impedirlo anche la paura della May di offrire al suo rivale la corona di salvatore della patria, che offuscherebbe la sua premiership a favore dell’altro.
Da parte sua Corbyn, seppure più volte abbia provato a cercare un dialogo con l’antagonista, non è preoccupato più di tanto di ripetuti dinieghi.
Le sconfitte della May e la lacerazione dei Tory gli offrono chanches per correre come futuro premier in caso di una crisi di governo, peraltro non improbabile.
La Brexit e le elezioni europee
In attesa, e nel caos, sta tentando di avviare una soluzione parlamentare alla questione, cercando un accordo trasversale con i Tory al di di là del miope blocco della loro spigolosa quanto battagliera leader.
Strada impervia, peraltro complicata dalla fronda interna dei laburisti di rito blariano, decisamente contrari alla Brexit.
Tanta confusione sotto i cieli di Londra, che la scadenza del 29 marzo accresce. La May sta cercando di allungare i tempi, affidandosi alle aperture di diversi esponenti della Ue, pure contrastati da spinte più rigoriste.
Il presidente della Ue, Donald Tusk, si è espresso per una proroga di due anni della scadenza.
Si tratta dell’usuale tattica dilatoria adottata sulle due sponde della Manica dai tanti, potenti e prepotenti, oppositori della Brexit, che cercano di annullare l’esito del referendum popolare (tanto del caos si deve a tali ambiti, che usano anche degli opposti estremismi per mandare all’aria le varie trattative).
Allungare i tempi, alimentare la confusione, serve a portare il Paese allo stremo, tanto da rendere praticabile quel che all’inizio sembrava impossibile, ovvero un ribaltone, da attuarsi in Parlamento o attraverso un nuovo referendum.
Tra il 23 e il 26 maggio si svolgeranno le elezioni europee. E in caso di una dilazione della Brexit si presenta un paradosso: sarà consentito agli inglesi di votare per un Parlamento dal quale vogliono allontanarsi?
Una mozione presentata al Parlamento inglese apre a tale possibilità. Paradosso, appunto.
Tempesta perfetta, dove le aspre schermaglie parlamentari nascondono il vero scontro globale, che è quello tra i fautori della Brexit e i contrari, che non accettano il vulnus ferale che l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue assesterebbe alla globalizzazione.