Kim, il sabotaggio del vertice di Hanoi e Rocketman
Tempo di lettura: 3 minutiKim Jong-un fa giustiziare i mediatori dell’accordo con gli Usa per punirli del fallimento del vertice di Hanoi. Questa la notizia pubblicata su un media sudcoreano e subito rimbalzata sui media internazionali, nonostante puzzasse di bufala lontano un miglio.
Una storia agghiacciante come altre precedenti: il presidente nordcoreano era già stato accusato di aver fatto sbranare lo zio da 120 (centoventi) cani affamati; avrebbe ucciso un ministro facendolo prendere a cannonate dalla contraerea…
Certo Kim sarebbe difficilmente accettato in una pia associazione di figlie di Maria, ma a quanto pare c’è una sorta di gara a farlo passare per l’agghiacciante protagonista di un film horror…
Vertice sabotato?
Per tornare all’attualità, Kim avrebbe fatto giustiziare Kim Hyok Chol, incaricato di mediare con gli Usa, insieme a cinque funzionari del ministero degli Esteri. In realtà l’uomo politico, si è saputo, è vivo e vegeto, anche se detenuto e sotto processo, come anche Sin Hye Yong, che era l’interprete all’incontro.
Evidentemente le autorità di Pyongyang ritengono che abbiano sabotato il summit. Se vero, sarebbero sotto processo in qualsiasi Paese, dato che quel fallimento sta provocando disastri in Corea del Nord, che, già stretta da sanzioni durissime, vede le sue già scarse riserve alimentari minacciate dalla peggior siccità degli ultimi decenni (New York Times).
Peraltro, se è vero che Trump deve far i conti con ambiti che contrastano il suo tentativo di distensione con Pyongyang (vedi John Bolton), anche Kim ha la sua fronda interna, ovvero quella parte dell’apparato militare che teme la pace con gli Usa perché eroderebbe il suo ruolo all’interno del Paese.
Così la possibilità di un sabotaggio del summit – fallito miseramente – da parte di tali ambiti non è certo impensabile. Magari in combinato disposto con i guastatori Usa, come accade in questi casi.
Ma al di là delle ipotesi, da verificare, resta che anche la Fake news sull’uccisione di Kim Hyok Chol – e di altri con lui – non appare casuale. Sembra infatti funzionale al tentativo di gettare ombre su Kim, farlo apparire diabolico, così da frustrare l’approccio diplomatico di Trump.
La Guerra di Corea torna di attualità
Al di là delle purghe, vere o presunte, va segnalato un significativo articolo di Study Times, collegato alla strategica Central Party School del partito comunista, dedicato allo scontro commerciale Usa-Cina (senza mai nominarlo).
L’articolo è stato ripreso dalla Reuters, che gli attribuisce notevole importanza, e descrive l’attuale confronto tra l’Occidente e Pechino come una riedizione della guerra di Corea, quando le Nazioni Unite, guidate dagli Usa, combatterono contro Corea del Nord e Cina.
Allora, secondo Study Times, i due Paesi asiatici fecero fronte con determinazione “alla più grande potenza militare ed economica mondiale e al ricatto diplomatico”, senza cedere alle pressioni e alle pretese egemoniche.
“Finalmente nel 1953 fu firmato l’armistizio, in gran parte basato sulle proposte avanzate nel 1951 dalla Cina e dalla Corea del Nord”, come sintetizza la Reuters.
Quanto avvenuto allora è tornato di attualità, secondo il media cinese, che quindi pone un legame indissolubile tra lo scontro commerciale tra Usa e Cina e le trattative tra Washington e Pyongyang, un collegamento che sfugge ai più.
Insomma, non si può fare la pace tra Usa e Corea del Nord se non nel quadro di un accordo globale tra Washington e Pechino. Un accordo, suggerisce l’articolo dello Study Times, che verrà trovato solo se gli Usa rinunceranno alla pretesa di piegare la Cina attraverso una politica fatta di pressioni, ma accederanno alla via del negoziato.
Rocketman
Così concludiamo con una nota di colore, anzi musicale. Nelle sale d’Occidente sta andando per la maggiore il film Rocketman, sulla vita di Elton John, pellicola che vuol raccontare una storia di redenzione: un cantante preda del diavolo (così nel film), che, accortosi dell’abisso nel quale si era perduto, ritrova la retta via.
“Rocketman” era il beffardo epiteto affibbiato da Trump a Kim prima dell’inizio dei negoziati, quando ancora la Corea del Nord era definito “Stato canaglia”.
La parabola del film appare dunque di buon auspicio: anche il diavolo nordcoreano può cambiare e ritrovare la retta via.