Medio oriente: il piano di pace Usa non piace a nessuno
Tempo di lettura: 3 minutiIl Congresso americano approva una legge che istituisce un “Fondo per il partenariato di pace”, 50 milioni di dollari diluiti in 5 anni, destinati allo sviluppo economico della Palestina e a creare nuove relazioni tra israeliani e palestinesi per favorirne la riconciliazione.
L’iniziativa è stata approvata da repubblicani e democratici e ha incontrato l’adesione di numerose associazioni ebraico americane, non solo quelle votate alla causa della pace, ma anche altre insospettabili, come ad esempio l’Aipac, la più influente e istituzionale.
Ebrei e palestinesi contro il piano di pace Usa
Tra queste associazioni si annoverano quelle che hanno aspramente criticato le politiche del governo israeliano sulla questione palestinese, ma anche quelle che in genere sono allineate alle scelte di Netanyahu, come rileva Timesofisrael.
La legge, aggiunge il giornale israeliano, va letta “in parte come un rimprovero all’amministrazione [Usa] per aver chiuso l’anno scorso i finanziamenti destinati agli organismi votati al dialogo. Inoltre, alimenta il sostegno alla soluzione a due Stati in opposizione alla minimizzazione della prospettiva di uno Stato palestinese ad opera dell’amministrazione Trump e del primo ministro Benjamin Netanyahu”.
Un piano di pace che non piace a nessuno
Una decisione che dunque va in controtendenza rispetto alla politica dell’amministrazione Trump, che a fine giugno, in Bahrein, dovrebbe rivelare il suo nuovo piano di pace israelo-palestinese.
Redatto da Jared Kushner, l’accordo del secolo, come da definizione azzardata dei suoi ideatori (tra cui Netanyahu), è stato subissato da critiche, sempre più aperte. Se prima erano solo i palestinesi a rigettarlo, come offensivo, ora non più.
Le critiche arrivano anche dai sostenitori di Trump, come scrive Politico. Ma a mettere in discussione il piano è stato lo stesso Segretario di Stato americano Mike Pompeo, che l’ha criticato in una riunione a porte chiuse con i più importanti esponenti della comunità ebraica americana.
Lo sfogo di Pompeo
Secondo Pompeo il piano potrebbe suscitare reazioni. Alcuni potrebbero obiettare “non è particolarmente originale, non funziona […] contiene due cose buone e nove cose cattive, non lo sosteniamo”. Un progetto che rischia di “piacere solo a Israele”.
Pompeo si è spinto oltre, affermando che il Dipartimento di Stato ha studiato anche le ripercussioni di un un possibile fallimento (ma non bisogna usare questa parola, ha aggiunto). Insomma, il piano potrebbe “non essere fattibile”.
Rivelazioni rubate, quelle di Pompeo, tramite una registrazione clandestina pubblicata poi dal Washington Post. particolare che dà allo sfogo del Segretario di Stato un’altra valenza. È evidente, infatti, che quanti sperano che il nefasto piano non veda la luce si stanno dando da fare.
L’avversità è generalizzata: Politico scrive di un “profondo scetticismo degli analisti del Medio oriente di tutto lo spettro politico”. E rileva come il passo falso di Netanyahu, che non è riuscito a formare un governo nonostante la vittoria elettorale, ha complicato ancora di più la situazione.
Varare il piano di pace ora, mentre Israele è alle prese con un’altra campagna elettorale, farebbe apparire gli Stati Uniti “poco seri”, ha spiegato a Politico James Carafano, esperto di politica estera con la conservatrice Heritage Foundation, che ha suggerito di aspettare tempi migliori; “fino a dopo le elezioni americane”.
Le nefaste conseguenze del piano di pace Usa
Rob Satloff, direttore esecutivo del Washington Institute for Near East Policy, ha messo in luce la “catena di eventi negativi” che si creerebbe: “Se i palestinesi rifiutassero il piano, la destra israeliana potrebbe fare pressione sul governo per portare avanti l’annessione di parte della Cisgiordania. Una tale mossa isolerebbe ulteriormente Israele sulla scena mondiale”.
Si potrebbe aggiungere che il “se” riferito al rifiuto palestinese è pleonastico e che l’annessione scatenerebbe la loro reazione; quest’ultima poi innescherebbe una dura repressione, che getterebbe ulteriori ombre su Tel Aviv.
Insomma, per Politico, tanti stanno chiedendo all’amministrazione Usa di soprassedere. Idea che sta prendendo piede anche nella comunità ebraica, come suggerisce l’articolo del Timesofisrael.
La Corte Suprema e Netanyahu
Intanto Israele è alle prese con una campagna elettorale che si annuncia durissima, dato che già la precedente aveva registrato una conflittualità mai vista prima in Israele (lo rilevò l’addolorato Reuven Rivlin, presidente d’Israele).
Netanyahu spera di vincere anche stavolta, ma deve superare non pochi ostacoli. Il primo è l’imminente verdetto della Corte suprema sulle inchieste che lo riguardano.
Deve essere emesso agli inizi di ottobre. Data troppo vicina: non ci sono i tempi per fare un nuovo governo e varare una legge che lo metta al riparo. Così ha provato a far slittare i tempi, chiedendo un differimento. Richiesta respinta. Dovrà escogitare altro.