Netanyahu da Putin: photo opportunity, niente di più
Tempo di lettura: 3 minutiNetanyahu vola da Putin, per dimostrare ai suoi elettori che ha fatto di Israele una potenza globale, in grado di confrontarsi alla pari con le Grandi potenze. Un messaggio che ha ostentato nella sua campagna elettorale, con manifesti giganti che lo ritraggono con Trump e Putin.
Il vertice con Putin
Anche prima delle scorse elezioni aveva voluto incontrare il presidente russo, ma stavolta era più importante che mai, dato che è palese a tutti che la sua “bromance” con Trump, come scrive Jacov Katz in una nota editoriale del Jerusalem Post, non è più.
Il licenziamento di Bolton, la linea più morbida verso l’Iran delineata da Trump – che pensa addirittura a un aiuto di 15 miliardi per Teheran – segnalano un distacco di Washington dal premier. Da qui la maggiore importanza per Netanyahu del vertice con Putin, che prova a dar sostanza al suo messaggio elettorale di prospettiva globale.
Nel vertice Netanyahu ha vantato la sua amicizia con Putin che ha evitato scontri tra esercito israeliano e russi in Siria, e parlato di possibili accordi su Siria e altro (Debka).
Eppure non tutto è andato come voleva il premier israeliano. Putin, impegnato altrove, lo ha fatto attendere tre ore, e forse basta questo a indicare un rapporto non del tutto sintonico.
Non solo, parlando delle elezioni israeliane, Putin ha dichiarato che spera che chiunque sia eletto conserverà un rapporto di amicizia con la Russia.
Non proprio l’augurio di vittoria che si aspettava l’interlocutore. Anche l’elogio dell’importanza dei cittadini israeliani provenienti dalla Russia, seppur scontato, deve esser suonato scomodo per Netanyahu, dato che votano per lo più Avigdor Liberman, suo acerrimo nemico.
Detto questo, a Netanyahu è andata bene lo stesso: lo scopo dell’incontro era esporre la sua statura internazionale e per questo bastava la photo opportunity che Putin non poteva negargli.
Detto questo, la ricerca di photo opportunty non è segno di forza, anzi.
Le frecce nell’arco di Netanyahu
Uscito ammaccato da una settimana di imprevisti per lui sfortunati, Netanyahu ha ancora carte da giocare.
Sempre sul JP, Katz spiega che, al di là delle avverse circostanze, grazie al suo protagonismo, seppur non sempre brillante, egli è riuscito a fare delle elezioni un referendum su se stesso.
Sempre più disincantati e lontani dalla politica, gli elettori avrebbero punito senz’altro un governo che appare deficitario sul piano dello sviluppo (sanitario, educativo ed economico), scrive Katz, ma, essendo riuscito a centrare il focus del dibattito elettorale sulla sicurezza e sulla sua sopravvivenza politica, Netanyahu ha evitato che le urne punissero tali sue mancanze.
Riguardo alla Sicurezza, è interessante quanto scrive Chemi Shalev su Haaretz, in un articolo in cui annota allarmato le tante operazioni militari dispiegate in questi giorni dall’esercito israeliano in Iraq, Siria e Libano, che, secondo lui, denotano una inversione di tendenza rispetto al passato.
“Questo non è il Netanyahu che abbiamo conosciuto – scrive -, che ha per lo più saputo rispettare la necessaria separazione tra la sicurezza di Israele e la politica del partito”.
Dato il “clima drammatico” di questi giorni, c’è il rischio di una guerra a fini politici, è la denuncia di Shalev. Una considerazione che cade nel giorno in cui il premier israeliano annuncia la possibilità di un’operazione contro “Gaza prima delle elezioni”.
Uno scenario peraltro annunciato da Debka (ne abbiamo accennato in altra nota), che prevede guerra, governo di unità nazionale e rinvio delle elezioni.
Così, in questo momento, conclude Shalev, “una raddoppiata responsabilità [di vigilanza, ndr.] spetta ai professionisti, cioè ai responsabili dell’apparato della Difesa”.
Giorni drammatici, appunto, per Israele e non solo, dati i rischi di una destabilizzazione più ampia del Medio oriente. Giorni nei quali Netanyahu si sta giocando tutto, con una frenesia che, secondo un editoriale del New York Times, sarebbe sintomo di “disperazione”.
Di certo è agitato, ma non disperato, dato che ha ancora frecce nel suo arco. Non solo una possibile avventura bellica, anche uno sviluppo elettorale finora imprevisto, annota in altro articolo Shalev, ovvero la crescita di Otzma, il partito del movimento khanista, di estrema destra, che sembra destinato a superare la soglia necessaria per entrare alla Knesset e consegnare così a Netanyahu la maggioranza.
Si materializzerebbero i “peggiori incubi. Una coalizione di destra dipendente da Otzma farebbe sembrare l’attuale coalizione una lega di sinistra liberale”.
Peraltro, sottolinea Shalev, si tratterebbe di un governo che Netanyahu non avrebbe mai voluto se non fosse per il suo “imperativo di sottrarsi” alla magistratura.
Insomma, il destino di Israele è ancora sospeso. Tante le varianti, tra cui alcune nefaste. Tutto è complicato dal fatto che non si vede nessun compromesso all’orizzonte. Aiuterebbe, non solo Israele.