L'esercito Usa vuole porre fine alle guerre infinite
Tempo di lettura: 3 minutiLa maggior parte dei veterani delle “guerre infinite” sostengono la decisione di Trump di porre fine ai tanti conflitti iniziati dagli Usa dopo gli attentati alle Torri Gemelle. È quanto rivelato da recenti sondaggi resi pubblici dal New York Times.
Una ribellione sorda alla politica muscolare dispiegata dagli Stati Uniti nel post 11 settembre che risulta in costante aumento, secondo il giornale della Grande Mela. E ciò accade nonostante il cambiamento radicale avvenuto nell’esercito americano.
Dalla leva all’esercito professionale
L’obbligatorietà della leva aveva suscitato proteste diffuse al tempo della guerra in Vietnam, sia dei giovani che non volevano andare a morire in quell’assurdo conflitto, ma anche di padri e madri ai quali i figli venivano sottratti in maniera altrettanto assurda.
Evitare questo malcontento, che metteva a rischio le avventure belliche americane, fu uno dei fattori determinanti del passaggio a un esercito professionale, formato cioè da volontari (anche se spesso per gli impegni più oscuri il Dipartimento di Stato non ha disdegnato il ricorso a mercenari, i famigerati contractors).
Eppure, nonostante tale cambiamento, e nonostante che tanti, nel post 11 settembre, si siano arruolati con convinzione, per patriottismo a stare al NYT, il malcontento è dilagato egualmente. Si tratta di un disincanto diffuso verso guerre che non finiscono mai e non producono alcun risultato.
Ma per alcuni il motivo è altro. Per tutti la testimonianza di Peter Lucier, studente di legge a St. Louis, convinto sostenitore della guerra contro al Qaeda al tempo del suo arruolamento: “Ora, dice, ‘sto cercando di uscire dal mondo degli omicidi’”.
Il sostegno a Trump
“Tali sentimenti non sono limitati solo ai soldati e agli ufficiali di livello inferiore”, aggiunge il NYT, dal momento che tanti generali ed ex generali concordano sulla necessità di finire questa conflitto permanente.
“Il mutato atteggiamento di tante persone che hanno prestato servizio nelle guerre – scrive il NYT – aiuta a spiegare perché Trump ha goduto del sostegno dei veterani nella sua decisione di riportare a casa le truppe e perché sia riuscito a resistere alle pressioni per iniziare azioni militari contro altre nazioni” (Siria e Iran, per essere espliciti).
I veterani hanno sostenuto le decisioni di Trump più dei comuni cittadini, prosegue il NYT, che dettaglia: “circa il 56% dei veterani ha dichiarato di approvare il lavoro che stava svolgendo come presidente, rispetto al 42% della popolazione complessiva, secondo un sondaggio dell’Associated Press dell’anno scorso […]”.
“Ai veterani piace la promessa di Trump di sostenere la loro assistenza e rafforzare la spesa militare, e in alcuni casi concordano con la sua politica estera basata sull'”America First” che chiede un minore impatto delle forze degli Stati Uniti all’estero”.
Sostegno bipartisan
Anche influenti associazioni di veterani come Concerned Veterans for America e VoteVets, la prima di destra la seconda di sinistra, seppur del tutto antitetiche, concordano sulla necessità di chiudere questa stagione di guerre.
Riportiamo dal NYT: “‘Donald Trump ha ragione in pieno’ secondo le due associazioni che ora lavorano insieme, ha dichiarato Jon Soltz, un veterano dell’esercito che ha prestato servizio due volte in Iraq prima di prestare servizio presso VoteVets“.
Un consenso allargato “persino ai democratici”, aggiunge il giornale, che conclude con le parole di Soltz: Trump “è scattato in piedi e ha detto chiaramente a Jeb Bush che la guerra in Iraq era uno scherzo totale. [Trump, ndr.] Non mi piace. Ci ha bloccato su Twitter e lavoreremo per sconfiggerlo nel 2020. Ma non puoi negare che l’azione di Donald Trump, che ha spazzato via queste guerre, sia stato un punto di svolta per tutti noi ”.
Non solo l’esercito, secondo il NYT “c’è un’alleanza lenta, ma in costante crescita, tra destra e sinistra a Capitol Hill [il Parlamento Usa, ndr.] per frenare quelle che Trump chiama ‘guerre senza fine'”.
La Resistenza oscura
Un sentimento diffuso, dunque, che però si scontra con “l’élite della sicurezza nazionale e di entrambi i partiti”, che “continuano a premere per una presenza militare americana in Siria, Iraq e Afghanistan”. E che ha frenato costantemente Trump, riuscendo quasi a vanificarne l’agenda politica.
Non sono riusciti a imporsi come prima, dato che Trump ha evitato, con escamotage a volte fantasiosi, di iniziare nuove guerre. Ma sono egualmente riusciti a impedire che egli portasse a compimento le sue promesse.
Non è riuscito, infatti, a ritirare le truppe dall’Afghanistan, a causa della forzata rottura dei negoziati con i talebani, che dovevano schiudere tale possibilità.
Ma soprattutto gli è stato impedito il ritiro totale dalla Siria, che resta il fulcro dell’impegno militare americano nel mondo, sul quale ruota il destino futuro delle guerre infinite.
Dopo aver ordinato il ritiro totale, infatti, Trump ci ha ripensato, lasciando un contingente a presidiare i pozzi di petrolio, sottratti così ai legittimi proprietari siriani.
Torneremo a scrivere su tali argomenti: ad oggi, per non allungare troppo la nota, ci basta constatare che sono proprio le persone più ingaggiate nelle guerre infinite a esserne stanche. Constatazione che infonde certa timida speranza.