La farsa dell'impeachement e l'incontro Trump-Lavrov
Tempo di lettura: 4 minutiSono stati annunciati i capi di imputazione contro il presidente degli Stati Uniti: abuso di potere e ostruzione alla giustizia. L’impeachement s’impenna.
Tutto ruota attorno a una telefonata tra Trump e Zelensky, nella quale il presidente americano ha chiesto al suo omologo ucraino di indagare su due fronti.
Anzitutto su Hunter Biden, figlio del più accreditato candidato alla Casa Bianca per i democratici, Joe Biden. Ma soprattutto sulla genesi del Russiagate, cioè le asserite ingerenze russe in favore di Trump alle presidenziali del 2016, che il presidente (e non solo lui) reputa sia una montatura ad opera dei suoi nemici nella quale l’Ucraina avrebbe avuto un ruolo cruciale; qui sarebbe nascosto il server utilizzato dagli asseriti troll russi pro-Trump.
La procedura di impeachement prevede che la Camera prima e il Senato poi svolgano inchieste per verificare la fondatezza di eventuali accuse contro il presidente, per poi sottoporle al voto.
Due inchieste indipendenti, dunque, così quello cui abbiamo assistito è stato solo il primo round, quello svolto alla Camera, controllata dal partito democratico.
Procedura anomala
A differenza di quanto accadde per Richard Nixon e Bill Clinton, la presidente della Camera, Nancy Pelosi, ha avviato l’impeachement senza un voto previo dell’assise, incaricando delle indagini diverse Commissioni, sotto la supervisione della Commissione intelligence.
I testimoni sono stati così esaminati a porte chiuse, per verificare se le accuse avessero fondamento. Ciò secondo la versione ufficiale, secondo i sostenitori del presidente, invece, tale procedura segreta è servita a selezionare testimoni e documenti, scartando quelli a favore di Trump, che in quella sede non aveva nessuna possibilità di difesa.
Al termine delle indagini preliminari, la Commissione intelligence ha redatto il suo atto di accusa inviandolo alla Commissione giustizia della Camera, che ha chiamato a pubbliche audizioni i testimoni “selezionati” nel segreto.
A fronte di una procedura alquanto anomala, Trump ha deciso di non difendersi neanche durante le audizioni pubbliche, limitandosi a denunciare la faziosità del procedimento.
L’impeachement non ha i voti né li sposta
Terminate le audizioni, ieri la formalizzazione delle accuse da parte della Commissione giustizia della Camera. Alquanto scontata la condanna successiva di tale ramo del Congresso, ma poi la palla passerà al Senato, controllato dai repubblicani, che quindi avranno modo di gestire il procedimento e di portare prove e testimoni a discarico del presidente.
Non solo: perché il presidente sia dichiarato decaduto, la condanna deve ottenere i tre quarti dei voti dei due rami del Congresso. Al Senato ciò appare impossibile, dato che dovrebbero “tradire” più della metà dei senatori repubblicani.
Insomma, tanto fumo e poco arrosto, che peraltro non sembra poter incrinare l’immagine di Trump in vista delle presidenziali, come speravano i democratici. I sondaggi, infatti, indicano che l’impeachement non sposta voti.
Lo rivela, tra gli altri, un articolo del Washington Post, peraltro schierato apertamente contro Trump e per l’impeachement (vedi editoriale), in un articolo dal titolo significativo: “L’ossessione per l’impeachment dei democratici è controproducente”.
Di abusi e rimedi
Tanto fumo, che ha offuscato i fatti. Nella telefonata incriminata Trump non chiede a Zelensky di indagare su Hunter Biden, in realtà chiede se si può riavviare un’inchiesta che Biden padre avrebbe bloccato, abusando della sua posizione di vice-presidente Usa (ne ha fatto pubblico vanto, vedi video).
L’abuso, se c’è stato, non è di Trump, ma del suo predecessore. Il presidente ha semplicemente chiesto di porvi rimedio.
Non solo, anche la richiesta di verificare una possibile montatura riguardante la vicenda Russiagate non è affatto abuso di potere, ma anzi è tesa a verificare se sia esistita una macchinazione contro gli Stati Uniti.
Certo, ambedue le richieste erano interessate, ma avevano un’oggettiva legittimità.
Era, e resta, nell’interesse degli Stati Uniti chiarire le questioni, ma l’impeachement ha bloccato tutto. Di fatto, è stata una mossa difensiva camuffata da attacco.
Di rivoluzioni colorate e summit oscurati
Molto interessante anche un altro passaggio della telefonata, quello riguardante l’ex ambasciatrice Usa in Ucraina Marie Yovanovitch, testimone chiave dell’impeachement.
Al telefono, Zelensky spiega che era “una nefasta ambasciatrice […]. Il suo atteggiamento nei miei confronti era tutt’altro che il migliore in quanto ammirava il precedente presidente (Petro Poroschenko) ed era dalla sua parte. Non mi accetterebbe come nuovo presidente”.
D’altronde la donna fu mandata come ambasciatrice in Kirgizistan il 4 febbraio 2005 e un mese dopo iniziò la rivoluzione colorata che travolse l’ex Paese sovietico (rivoluzione dei tulipani).
Si spiega così l’ostilità verso Zelensky, il quale sostiene la necessità di una riconciliazione con Mosca, chiudendo di fatto la stagione della rivoluzione colorata di piazza Madan. Cenno che denota la lotta politica, e geopolitica, sottesa all’impeachement…
Peraltro è significativo che l’accusa di Trump sia stata formalizzata nello stesso giorno in cui il presidente, a sorpresa, incontrava alla Casa Bianca il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov.
Summit di rilievo per la distensione internazionale, che l’annuncio dell’impeachement ha totalmente oscurato. Non certo a caso.