Soleimani: ucciso per i ricatti dei neocon a Trump
Tempo di lettura: 4 minutiIl generale Qassem Soleimani non era una minaccia imminente per gli Stati Uniti, è stato ucciso perché i repubblicani, la fazione neocon che ha grande influenza al Senato, hanno costretto il presidente ad agire, ricattandolo sull’impeachement.
Se non avesse firmato l’ordine, questo il ricatto, avrebbero fatto in modo che anche il Senato seguisse le orme della Camera, dove è già stato condannato, ponendo fine al suo mandato.
Le pressioni dei neocon
Così il New York Times: “Trump ha detto a una persona che gli ha parlato al telefono […] di essere stato costretto a fare una mossa più dura contro l’Iran da alcuni senatori repubblicani del cui sostegno ora ha più bisogno che mai per la battaglia sull’impeachment”.
Così il Wall Street Journal: “Trump, dopo l’attacco, ha detto ai suoi amici che sulla vicenda del generale Soleimani era sotto pressione dei senatori del GOP che considera sostenitori importanti per il suo prossimo processo di impeachment al Senato”.
Conferma postuma di quanto avevamo scritto in una nota subito dopo l’assassinio del generale, nella quale spiegavamo come fosse più che sospetta la permanenza di Lindsey Graham, influente senatore repubblicano di note simpatie neocon, a Mar-a-Lago, la residenza dalla quale Trump ha firmato l’ordine di attacco.
Così si spiega la fumosità con la quale si è cercato di giustificare l’operazione. Ai democratici, che chiedevano dettagli sui motivi dell’assassinio, sono state fornite informazioni vaghe su pericoli derivanti da asseriti progetti assertivi di Soleimani.
Soleimani: l’intelligence senza intelligenza
Mike Pompeo, nel riferire i motivi dell’assassinio, ha ribadito che l’intelligence aveva dato un allarme sicuro di un prossimo attacco, ma ha specificato che non aveva definito “né quando né dove” sarebbe avvenuto (Fox News).
Informazioni talmente vaghe da destare sospetti. Da qui la dichiarazione del presidente, che, per contrastare le critiche, ha parlato di piani di attacco diretti contro quattro ambasciate Usa.
Dichiarazioni che non sono state confermate dai responsabili della Sicurezza Usa, tra cui il ministro della Difesa Mark Esper, che ha detto di non aver visto nessun documento di intelligence che si riferisse ad ambasciate Usa e che quella di Trump era “un’interpretazione” di tali documenti, seppur coerente con quanto c’era scritto (New York Times).
Gli Stati Uniti si stanno arrampicando sugli specchi per giustificare un’operazione illegittima, che ha portato il mondo sull’orlo di una guerra nucleare, come ha fatto sapere la Russia per bocca di Vladimir Dzhabarov, vicepresidente della commissione Esteri della Duma (Izvestia).
Di interesse notare che a ridosso dell’assassinio del generale, l’ex Consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton aveva fatto sapere di voler testimoniare nel procedimento di impeachement del Senato.
Al falco neocon, ora che l’assassinio si è consumato, non sarà consentito testimoniare. Trump ha invocato il privilegio esecutivo, che vieta la divulgazione dei colloqui privati del presidente con i suoi consiglieri. Ora ha la forza per impedirlo.
Le responsabilità dei democratici
Resta però da notare un dato importante: se Trump è stato costretto a tanto, è grazie anche ai democratici, che, nella loro foga di abbattere il presidente, si sono consegnati ai neocon.
Non è un segreto che Bolton abbia tenuto costanti contatti con i democratici che stanno conducendo l’inchiesta contro Trump, né che i principali testimoni contro il presidente siano funzionari a lui fedeli.
Insomma, Trump è preso in una morsa. E i democratici, che ora si atteggiano a salvatori della patria, avendo protestato vibratamente contro l’assassinio del generale, non sono meno colpevoli dei neocon.
Certo, c’è da fare un distinguo tra l’ala liberal dei democratici e quella che fa riferimento a Bernie Sanders, ma, nello specifico, i radicali si sono fatti trascinare dai liberal nel gioco al massacro dell’impeachement, anche loro presi in una morsa dalla quale faticano a uscire.
Fieri contestatori dell’establishement, non possono farsi scavalcare dai liberal nella loro critica a Trump, perderebbero la loro base in favore dei primi…
La gioa dell’Isis
Un labirinto di specchi, teatro di scontri intestini. E dove quel che appare non sempre, anzi quasi mai, è tale.
Resta che Trump non ha seguito fino in fondo i suoi aguzzini. All’ultimo, ha infatti evitato una guerra che di fatto era stata dichiarata, accordandosi sottotraccia con Teheran (Piccolenote).
Da questo punto di vista, i neocon, sicuri di innescare un conflitto, hanno perso un’occasione quasi storica. Ci riproveranno, ma Trump sembra aver riguadagnato spazi di manovra.
Resta l’assassinio di un uomo che per gli iraniani era un mito vivente, il cui omicidio non sarà dimenticato in fretta.
Non solo, Soleimani era importante per tenere i fili del complesso rebus della Sicurezza iraniana, che, come si è visto con l’abbattimento dell’aereo civile ucraino a Teheran, dà segni di sbandamento e conflittualità interna, con rischi nuovi per il mondo.
E resta la gioia dell’Isis per la sua dipartita. In un comunicato, l’Agenzia del Terrore ha espresso tutto il suo gaudio per “l’intervento divino” che ha abbattuto Soleimani; un omicidio “che fa il bene dei jihadisti” (Ansa). Da ricordare, se l’Isis tornerà a far strage…
Nella foto in evidenza, il defunto neocon John McCain e Lindsey Graham