Crociata: il sacerdote non deve essere né un mestierante né un mago
Tempo di lettura: 2 minuti«Abbiamo bisogno di tornare sempre di nuovo sulle cose importanti della vita cristiana. Siamo esseri limitati, che possono occuparsi di una cosa per volta, e perciò rischiano di disperdersi dietro tanti pensieri dimenticando motivazioni di fondo e attenzioni essenziali (…). Abbiamo sempre bisogno di tornare all’essenziale della nostra vita e della nostra fede, un bisogno che si è fatto ancora più stringente in quest’epoca». Così monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Cei, a un ritiro spirituale di vescovi, presbieteri e diaconi del Friuli-Venezia Giulia che si è tenuto a Udine ai primi di novembre.
Il sacerdote, ha proseguito il presule, non dovrebbe mai perdere di vista «che, quando celebra e svolge il suo ministero, mette in gioco la sua salvezza insieme a quella degli altri. In particolare egli deve guardarsi dai due pericoli che minacciano la specificità del suo servizio, e cioè quello di ridursi a mestierante o, all’opposto, a mago. Il solo modo di sottrarsi a tali pericoli è conservare e coltivare il senso del “mistico” (…). Il senso del mistico è il senso di Dio, la coscienza umilmente credente di avere realmente (cioè sacramentalmente e santamente, e non solo simbolicamente) a che fare con Dio. Se vogliamo, è il timore di cui parlano diffusamente i sapienti d’Israele. Un ministro sa di avere a che fare con Dio quando celebra, quando lo annuncia e insegna, ma anche quando tratta le persone, e in particolare si relaziona a loro nell’attività pastorale. E le persone, non meno dei sacramenti e della Scrittura, sono terreno sacro, terra di Dio da accostare con incondizionato rispetto e attenzione».
Le parole di monsignor Crociata sono state riprese dall’Avvenire del 9 novembre.