Coronavirus e Big Pharma: i profitti più importanti della salute?
L’economia mondiale è stata messa in ginocchio dalla crisi sanitaria causata dal Coronavirus, eppure un settore non solo resiste al colpo, ma ne risulta rafforzato. Le industrie farmaceutiche, afferma Gerald Posner autore di “Pharma: Greed, Lies and the Poisoning of America” su The Intercept, “considerano il Covid-19 un’opportunità di business unica”.
La produzione di trattamenti, vaccini, test e strumenti sanitari ha dato vita a una vera e propria “gara”, sempre secondo Posner. L’obiettivo per tali aziende? Il guadagno. “Peggiore è la pandemia, maggiore è il loro eventuale profitto”, continua il cronista americano.
Negli Stati Uniti le compagnie farmaceutiche godono di piena libertà nel decidere i prezzi dei loro prodotti, più che in qualunque altro Paese del mondo, da ciò la potenzialità di enormi profitti.
Per tale motivo inizialmente alcuni esponenti politici americani avevano chiesto al governo di porre un calmiere sui prezzi proposti dalle aziende farmaceutiche per terapie che peraltro sono sviluppate grazie ai finanziamenti pubblici.
A febbraio, a tal proposito, la repubblicana Jan Schakowsky e altri membri della Camera hanno scritto a Trump chiedendo di “assicurare che qualsiasi vaccino o trattamento sviluppato con i dollari dei contribuenti statunitensi sia accessibile, disponibile e conveniente”. Obiettivo irraggiungibile “se le società farmaceutiche sono autorizzate a stabilire i prezzi e la distribuzione, ponendo i propri interessi al di sopra delle priorità sanitarie”.
Molti repubblicani, però, si sono opposti, sostenendo che tale limitazione avrebbe soffocato la ricerca e l’innovazione.
Ciò nonostante che il segretario alla Salute e ai Servizi Umani Alex Azar, peraltro grande lobbista della società farmaceutica Eli Lilly, abbia affermato di condividere le preoccupazioni esposte dalla Schakowsky.
Purtroppo trarre profitti dagli investimenti pubblici è una prerogativa dell’industria farmaceutica. Ribadisce Polsner: “Consentire loro di avere questo potere durante una pandemia è scandaloso”.
Tale circolo vizioso va avanti dagli anni ’30, da quando, fino ad oggi, il National Institutes of Health ha investito nella ricerca circa 900 miliardi di dollari, usati dalle compagnie farmaceutiche per creare e brevettare medicine. Sempre secondo il cronista americano, dal 2010 al 2016 la Food and Drug Administration ha approvato una serie di farmaci per cui i contribuenti hanno speso più di 100 miliardi di dollari, che sono stati destinati alle relative ricerche.
Questa meccanica fornisce profitti incalcolabili ai giganti farmaceutici. Sempre secondo lo scritto di Posner, il farmaco antivirale “sofosbuvir”, trattamento utilizzato contro l’epatite C, elaborato tramite finanziamenti pubblici, è ora di proprietà della Gilead Sciences che ha rivenduto per anni una singola pillola a circa 1000 dollari.
Per fornire alcune stime, secondo i calcoli di Axios, le compagnie farmaceutiche realizzano il 63% degli introiti complessivi dell’assistenza sanitaria negli USA, ricompensa dei loro sforzi lobbistici.
Nel 2019 le aziende farmaceutiche hanno speso per attività di lobby – da noi si chiamano tangenti – quasi 300 milioni di dollari: quasi il doppio di quanto ha speso il settore dell’elettronica, il manifatturiero e perfino più del doppio di quanto destinato a tale attività dalle compagnie petrolifere e del gas.
Sforzi economici che senza dubbio hanno ripagato le aziende farmaceutiche, conferendo loro una stabilità economica fuori dal comune. La crisi finanziaria che ha colpito ogni settore del mercato globale ha infatti generosamente risparmiato le aziende in questione che, anzi, almeno fino ad ora, ne stanno uscendo addirittura più forti di prima.
Ad esempio il valore delle azioni della società biotecnologica Moderna, che a fine febbraio ha avviato una sperimentazione clinica su dei volontari per un potenziale vaccino contro il Coronavirus, è aumentato. Lo stesso vale sia per le azioni di Eli Lilly sia per quelle della Gilead Sciences.
Gli interessi privati di tali aziende risultano così più importanti del benessere pubblico e della ricerca scientifica. Non aiuta a contrastare il dilagare del virus. Resta da vedere se l’avanzare della tragedia capovolgerà questa equazione, subordinando i profitti al bene più prezioso, cioè la salute della gente. Più probabile che si stia trovando, o si sia stato trovato, un compromesso.
Ma la meschina contrattazione, al di là dei suoi esiti, mette in evidenza tutti i limiti strutturali di un sistema che, destinato agli ammalati, appare anch’esso altrettanto ammalato.
Sul punto, anche un interessante articolo di Politico.
Matteo Guenci