Cina e Israele in aiuto alla Palestina e la propaganda anti-Pechino
Tempo di lettura: 2 minutiUna società cinese e una israeliana hanno annunciato una joint venture per creare un laboratorio per fare test-coronavirus ai palestinesi, sia quelli residenti in Cisgiordania sia a Gaza.
A dare la notizia è Timesofisrael, che riferisce anche di aiuti cinesi destinati in Israele: 11 aerei partiti dal Celeste Impero hanno sbarcato in Israele attrezzature mediche per fronteggiare il coronavirus.
Notizia in sé poco rilevante, forse, ma aiuta a mettere in evidenza la vacuità di tanta propaganda che sta alimentando un sentimento anti-cinese nel mondo, addossando la responsabilità della pandemia a Pechino (e nulla importando che essa ha fatto strame anzitutto in Cina).
Se anche Israele ricorre a Pechino, nonostante essa sia un alleato di ferro di Teheran, che tanti a Tel Aviv considerano un nemico esistenziale, non si comprende perché altrove tale ausilio deve essere visto con sprezzante sospetto.
Vero, l’offensiva sanitaria di Pechino, che sta aiutando un po’ tutti, ha anche uno scopo recondito, che è quello di stemperare la diffidenza seminata in questi anni contro Pechino da certi ambiti internazionali, ma è un fine del tutto accettabile, dato che cerca semplicemente, come fanno tutti, di ampliare i suoi mercati, che certa propaganda vuole chiudere in favore di altri.
Per fare un esempio di come lavora la propaganda anti-Pechino, basta vedere cosa accade in questi giorni, nei quali stanno apparendo diversi articoli sul tema dei cosiddetti mercati umidi, fiorenti in Cina, nei quali si vendono animali selvatici per l’alimentazione domestica.
Il Covid-19, secondo una narrativa ben consolidata, sarebbe stato trasmesso all’uomo proprio da un animale selvatico consumato in tal modo. In realtà, non c’è alcuna certezza al riguardo, dato che il “paziente zero” è ancora in dubbio (ultima ipotesi, un venditore di gamberi del mercato di Wuhan, ma è solo un’ipotesi tra tante).
Inoltre, non è sicuro che i virus provenienti dagli animali si trasmettano all’uomo solo ed esclusivamente per via gastronomica. Lo evidenzia la Mers, sindrome influenzale mediorientale del 2012, che ebbe origine in Medio oriente dai dromedari. O come si può notare, all’inverso, dai vari casi che stanno emergendo di animali contagiati dal Covid-19 per trasmissione diversa (clamoroso il caso della tigre dello Zoo del Bronx, contagiata dal virus).
Ma al di là dell’incerto diventato solida certezza, resta che i mercati dell’umido, a scanso di equivoci, sono stati ormai vietati in Cina. E questo già da fine febbraio, come riferiva al tempo il New York Times, non certo un media asservito a Pechino.
È solo uno dei tanti esempi di polemiche strumentali create in questi giorni per fomentare divergenze tra Oriente e Occidente. Propaganda particolarmente nefasta in questo momento, dato che la dura realtà urgerebbe invece un coordinamento globale, come peraltro ha ben capito, nonostante i suggerimenti opposti, Donald Trump (come riferisce in maniera esaustiva il Washington Examiner).