Israele: Trump può frenare l'annessione della Cisgiordania?
Tempo di lettura: 3 minutiA luglio Israele metterà al voto l’annessione della Cisgiordania. Questa la grande vittoria che Netanyahu ha conseguito nella lunga trattativa con Benny Gantz per formare un governo di unità nazionale. Su tale questione, cruciale, si interroga Jackson Diehl, editorialista del Washington Post.
Nel suo scritto, Diehl annota che Gantz ha posto al suo rivale-alleato una sola condizione, cioè che Tel Aviv agisca in “pieno accordo con gli Stati Uniti”.
Israele: Il cedimento di Gantz
Di fatto, Gantz, pur di arrivare a un’intesa, ha rinunciato a quanto aveva dichiarato per mesi, cioè che l’annessione avrebbe dovuto essere concordata sia con la comunità internazionale sia con gli stessi palestinesi. Un cedimento di schianto alle pressioni di Netanyahu.
Peraltro, anticipare il voto della Knesset (il parlamento israeliano) a luglio, e non rimandarlo a dopo le elezioni Usa, come chiesto all’inizio della trattativa da Gantz, rende il placet Usa più facile, dato che Trump finora ha avallato tante richieste di Netanyahu, dall’annessione del Golan al riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello Stato israeliano, alla revoca del trattato nucleare iraniano.
Non solo, essendo prossime le presidenziali, secondo il WP, Trump sarà propenso al placet, dal momento che “vuole galvanizzare i cristiani evangelici e la minoranza di ebrei statunitensi che sostengono la ‘grande Israele’, e al contempo accusare di anti-sionismo i democratici che non assecondano tale linea”.
In realtà, più che decidere, potrebbe essere costretto ad assecondare la mossa, dal momento che subirà una pressione enorme in tal senso e che quei voti gli servono, dato che, a causa della pandemia, la sua vittoria, che un mese fa appariva certa, vacilla.
Trump, scrive il WP, avrà quindi “il potere di decidere se il suo alleato israeliano può procedere con un voto [alla Knesset, ndr.], che molto probabilmente vincerebbe e che cambierebbe per sempre il carattere di Israele”.
Infatti, se si procederà all’annessione unilaterale, svaporata ormai l’idea di uno Stato palestinese, “Israele sarà condannato a diventare uno stato binazionale piuttosto che esclusivamente ebraico, oppure adotterà un sistema di apartheid in cui milioni di palestinesi sono governati da Israele senza godere di pieni diritti politici”.
Tale obiezione non è mossa solo da ambiti anti-israeliani, ma anche da “alcuni degli esponenti più pro-israeliani del Congresso e da diversi analisti politici di Washington”, sottolinea il WP.
Così, ad esempio, l’Israel Policy Forum, che ha accolto con grande favore la creazione dell’esecutivo di unità nazionale, lo ha però esortato a prendere in seria considerazione gli “avvertimenti contro l’annessione unilaterale che sono giunti da esperti della Sicurezza israeliani, dal Congresso degli Stati Uniti, dall’Unione europea, oltre che da provati analisti di politica estera e da leader ebrei americani”.
Resta il fatto che Netanyahu finora non ha dato molta retta a tali avvertimenti, anzi ha proseguito per la sua strada superando ogni obiezione. Così il destino dell’annessione sembra segnato.
L’annessione e il placet Usa
E però, secondo il WP, c’è ancora una possibilità, e sarebbe legata proprio al cosiddetto piano di pace messo a punto dall’amministrazione Usa, che prevede, sì, l’annessione di parte della Cisgiordania, ma in accordo con i Paesi arabi della regione alleati con Washington e, almeno in teoria, anche con i palestinesi.
Da questo punto di vista, l’annessione immaginata da Netanyahu “ucciderà” tale piano di pace, dal momento che “se non c’è la Palestina” cade la soluzione a due Stati, prevista, almeno sulla carta, in tale piano.
Per questo, annota il WP, sia Jared Kushner, il genero di Trump che ha stilato tale piano, sia il segretario di Stato Usa Mike Pompeo hanno in qualche modo frenato l’iniziativa di Netanyahu.
Insomma, l’amministrazione Usa non sarebbe propensa ad assecondare in tutto e per tutto Netanyahu. Così il fatto che nella trattativa per formare il governo Gantz abbia comunque ottenuto che per procedere ci vuole il placet Usa non appare, al WP, una cosa da poco.
Ma, come scritto sopra, l’appressarsi delle presidenziali porrà Trump sotto una pressione terribile. Significativa in tal senso la conclusione del WP: “In pubblico, Trump si presenterà sicuramente come il campione di Israele. La domanda è se, in privato, egli proverà a salvare lo Stato ebraico dalla sconsiderata iniziativa di Netanyahu”.
Se abbiamo riferito lo scritto del WP è per mettere in evidenza come l’annessione in questione stia sollevando forti obiezioni non solo in ambito internazionale, ma anche all’interno dell’ebraismo. E anche, cosa ancor più significativa, nei settori più conservatori di tale ambito, che in teoria, secondo gli schemi del mondo, dovrebbero invece sostenere in tutto e per tutto tale disegno.
La politica estera è materia complessa e anche questa problematica – che non è certo secondaria, dato che, se realizzata, l’annessione cambierà il volto del Medio oriente, con conseguenze globali – deve essere approcciata con il rispetto della sua complessa multiformità.
Da questo punto di vista, Netanyahu si muove con la medesima decisione mostrata da Alessandro Magno col nodo di Gordio. Esempio che, se può apparire fulgido, racchiude un’insidia che l’attuale aura di invincibilità del premier israeliano offusca, cioè che le magnifiche sorti e progressive dell’impero costruito dal condottiero macedone, cui nulla importava la prospettiva vivendo di successi immediati, ebbe vita breve.