Attaccare Gaza pensando a Teheran
Tempo di lettura: 2 minuti«Si scrive Gaza, ma si pronuncia Teheran. Si scrive con il sangue dei bambini, come sempre, anche la nuova pagina dell’odio senza fine. È l’Iran, non i missili di Hamas o la rappresaglia di Tsahal, l’esercito israeliano, l’obbiettivo al quale guardano gli attori di una nuova edizione della interminabile strage. Si testano a vicenda, si sfidano e si misurano con il sangue, con la crudeltà insopportabile di quei corpi di bambini. Bambini mussulmani ed ebrei, palestinesi e israeliani, ma sempre e soltanto innocenti con cui cercano di risucchiare Obama nel pozzo senza fondo del loro odio». Così Vittorio Zucconi sulla Repubblica del 21 novembre.
Per Zucconi l’operazione “nuvola di fumo”, iniziata subito dopo la rielezione di Obama «ha tutto il sapore di un azione a orologeria», lanciata «soprattutto per mettere alla prova il vero, storico e fondamentale obbiettivo della politica estera e militare israeliana: il presidente degli Stati Uniti. Per vedere fino a che punto Israele possa contare su di lui, se decidesse di affrontare il vero nemico che teme, l’Iran nucleare».
Così, dopo aver ripercorso il difficile rapporto tra Obama e Netanyahu, che durante l’ultima campagna presidenziale ha raggiunto l’acme della conflittualità, con quest’ultimo dichiaratamente schierato per lo sfidante Romney, Zucconi scrive: «Nella logica brutale del Medio Oriente il solo strumento sicuro ed efficace per “testare” alleanze e solidarietà è la violenza (…). Gli israeliani, che dopo l’eroica e solitaria resistenza nella guerra del 1947, sanno di dovere, e di potere, contare sugli Stati Uniti per sopravvivere, dovevano, volevano vedere come Obama avrebbe reagito di fronte alla escalation di violenze militari più furiosa dal tempo dell’Operazione Piombo Fuso del dicembre 2008».
Una prova di forza alla quale Obama ha risposto con certa freddezza, ribadendo il diritto di Israele all’autodifesa, ma negando il suo appoggio a un attacco di terra. Conclude Zucconi: «Semaforo giallo, dunque, da Washington a Tel Aviv, procedere con prudenza, con saggezza, con il coraggio del più forte davanti alle provocazioni del più debole e non fare prove generali per ben altri e ben più rischiosi attacchi militari non ai prigionieri di Gaza, ma a una grande nazione come l’Iran. Quei civili e quei bambini morti sulla linea di demarcazione fra palestinesi e israeliani sono, orribile a dirsi, pedoni mossi e divorati su una scacchiera per muoversi verso pezzi importanti. Bibi Netanyahu parla di Gaza, ma pensa a Teheran».