L'annessione della Cisgiordania: scontro nell'ebraismo
Tempo di lettura: 2 minutiLe Monde ha pubblicato una petizione firmata da 50 personalità e organizzazioni ebraiche del mondo per chiedere a Benjamin Netanyahu di non procedere all’annessione unilaterale di parte della Cisgiordania.
Un’iniziativa che “viola il diritto internazionale” e che, se realizzata, decreterebbe “la fine della soluzione a due stati e distruggerebbe ogni speranza del popolo palestinese di raggiungere l’autodeterminazione con mezzi non violenti”.
La decisione non sarebbe disastrosa per il solo il popolo palestinese, ma “devasterebbe il progetto sionista finalizzato alla creazione di uno Stato ebraico e democratico”.
L’appello ricorda inoltre la “petizione firmata da quasi 300 ex alti ufficiali dell’esercito, del Mossad e della polizia, membri dell’organizzazione non governativa Commanders for the Security of Israel, che sottolinea come l’annessione scatenerà una reazione a catena sulla quale Israele non avrà alcun controllo, portando al crollo dell’Autorità Palestinese”.
“Ciò a sua volta porterebbe Israele ad assumere il controllo completo dell’intera Cisgiordania e ad assumersi la responsabilità diretta dell’esistenza di 2,6 milioni di palestinesi”.
Inoltre, l’annessione avrà ripercussioni devastanti in Giordania, che ospita milioni di palestinesi (il 40% dei circa 10 milioni di abitanti). Infatti, scrivono i firmatari del documento, essa “rischierebbe di destabilizzare il governo e lo costringerebbe a riconsiderare il suo trattato di pace con Israele”. A rischio, inoltre, anche il “trattato di pace con l’Egitto”.
Infine, tale passo “amplierebbe il divario tra Israele e la maggior parte degli ebrei nella diaspora, impegnati nei diritti umani e nella difesa dei principi della democrazia”.
In realtà, molti dei rischi paventati sono forse esagerati, dato che si tratta di processi nei quali anche le controparti interessate tenteranno di salvare il salvabile, ma resta l’oppressione dei palestinesi, lo sfregio alla democrazia israeliana e i rischi che la ferita mortale inferta alla pace riserva al futuro, non solo prossimo, della regione.
Come restano ineludibili le prospettive paventate dagli esperti della Sicurezza israeliana descritti nel documento citato nell’appello: “Anche se il resto della Cisgiordania non verrà annesso, ma resterà sotto il solo controllo militare, [l’annessione, ndr.] provocherà danni alla sicurezza di Israele, alle sue relazioni diplomatiche nella regione e nel mondo, al suo status sulla scena internazionale, ai suoi valori e ai suoi interessi nazionali, tali danni e le loro conseguenze saranno di una gravità estrema”.
Quel che prospettano i firmatari dell’appello è un peccato di Hubrys da parte di Netanyahu, che porterà nuova destabilizzazione non solo nella regione – con ripercussioni globali -, ma allo stesso Stato di Israele.
Al tempo, quando Ariel Sharon decretò il ritiro da Gaza, l’esercito dovette scontrarsi con i coloni che non volevano cedere la loro terra ai palestinesi. Chissà se, mutatis mutandis, il 1° luglio, data in cui dovrebbe avvenire l’annessione, assisteremo a scene analoghe ma di segno opposto. Lo scontro nell’ambito della comunità ebraica non ha mai toccato punte così estreme.
Tale opposizione resta l’unico freno reale a un processo ad oggi irreversibile. Come scritto in altre note, è probabile che Netanyahu si accontenterà di un gesto simbolico-politico, limitando le proprie prospettive, eppure necessario a rimarcare l’avvenuto compimento delle promesse elettorali.
Detto questo, anche un passo limitato risulterà deflagrante, perché creerà un precedente politico-giuridico di lunga prospettiva. Un sasso nello stagno che, proprio perché spalanca una finestra sull’abisso, rischia di provocare uno tsunami. Vedremo.