Usa: passa al Congresso la legge per controllare le sanzioni
Tempo di lettura: 3 minutiNegli ultimi anni gli Stati Uniti hanno sanzionato mezzo mondo: Siria, Iran, Venezuela, Russia, Cina, solo per enunciare alcuni dei destinatari degli strali americani. Una pratica che dura da tempo e che ha innescato un acceso dibattito negli Stati Uniti, che ha visto uno sviluppo imprevisto, riferito dal National Interest.
Tulsi Gabbard, ex candidata alla Casa Bianca per il partito democratico, ha proposto una legge che costringerebbe il presidente degli Stati Uniti a “riferire pubblicamente ogni anno i dati sull’impatto delle sanzioni statunitensi in tutto il mondo”.
Molti, anche negli Usa, sostengono l’inutilità delle sanzioni come strumento di pressione su governi considerati ostili. Inutili allo scopo per il quale sono emanate, sono invece tragicamente deleterie per i popoli che quelle sanzioni dovrebbero liberare dal giogo dell’oppressione (così vuole la retorica), dato che “limitando i rifornimenti di cibo, acqua, medicine e altri beni di prima necessità necessari alla sopravvivenza, causano malattie, sofferenze e morte”.
Non solo di tale strage silenziosa e ignorata dai media, “danni collaterali” (così la Gabbard) delle tante guerre a bassa intensità condotte dagli Usa nel mondo, non deve rispondere nessuno, ma nessuno è chiamato neanche a rendere ragione dell’entità dei danni effettivamente causati né dell’effettiva validità di tale strumento per lo scopo prefissato (cioè la rimozione dei governi ostili o almeno il ridimensionamento del loro potere).
Secondo la Gabbard, il rapporto che il presidente degli Stati Uniti dovrebbe rendere al Congresso ogni anno “dovrebbe includere statistiche sulla vita quotidiana – dai tassi di mortalità all’impatto ambientale -, e spiegare ‘se gli obiettivi di politica estera dichiarati al momento di emanare le sanzioni sono stati raggiunti'”.
La Gabbard è considerata una scheggia impazzita della politica americana, date le sue posizioni estreme (che poi estreme non sono… semplicemente ragionevoli). Ma la sua proposta di legge ha trovato l’approvazione della Camera. A votarla non sono stati solo gli esponenti dell’ala radicale del partito democratico, ma anche quelli legati all’establishement nonché parte dei repubblicani.
Ora la legge deve passare al vaglio del Senato attraverso il complicato meccanismo della politica americana che vuole che una legge approvata alla Camera, prima di essere proposta al Senato, può essere oggetto di contrattazione tra i due rami del Congresso, passaggio nel quale può essere cambiata anche significativamente (fino al suo svuotamento).
Al di là dell’incertezza futura, il NI sottolinea che, se entrasse in vigore, sarebbe la prima legge a regolare una prassi finora priva di possibilità di controllo.
Così Alexander Main, a capo della politica internazionale del Center for Economic and Policy: “Siamo consapevoli del terribile impatto delle sanzioni grazie a tante ricerche indipendenti che hanno dimostrato come i tassi di malattia, malnutrizione e mortalità aumentino significativamente nei Paesi colpiti dalle sanzioni”.
Interessante anche il rapporto che la norma pone tra le sanzioni e la loro effettiva utilità nei confronti dei governi considerati ostili, come sottolinea con ironia Erik Sperling, direttore del Just Foreign Policy, il quale ha collaborato con la Gabbard a formulare la legge
Così Sperling: “Sarà interessante osservare i tentativi [del Presidente, ndr.] di spiegare in che modo le sanzioni hanno dato potere al popolo cubano e nordcoreano e indebolito la decennale presa del potere dei governi” contro i quali sono indirizzati.
Ps. Tante, anche in America, le voci che si sono levate affinché il governo degli Stati Uniti allentasse le sanzioni durante il coronavirus. Non solo sono rimaste inascoltate, ma Washington ha continuato nella nefasta prassi.
L’effetto è stato quello di rendere più arduo ai Paesi sanzionati il contrasto al coronavirus, che quindi è stato utilizzato come strumento per accrescere il peso delle sanzioni stesse.
In tal modo il coronavirus è stato utilizzato come arma di distruzione di massa – di fatto, un’arma batteriologica – contro i Paesi che Washington percepisce come ostili.